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02 Gennaio 2025 0 Commenti Samuele Mannini
Ogni volta che guardo un vinile, mi sorprendo di come un semplice pezzo di plastica nero possa suscitarmi emozioni così intense da oramai quasi quattro decenni. La musica incisa su questo oggetto è quasi un mistero, una sorta di rito alchemico eseguito da sciamani esoteristi. Dopo aver esplorato la loudness war (QUI il LINK) e la cura del disco in vinile (QUI il LINK), vorrei dunque approfondire un argomento assai più ampio: cos’è un disco in vinile, come viene prodotto, di cosa è fatto, come si incide la musica e quali sono i suoi numerosi pregi e inevitabili difetti. Vorrei anche parlare dell’artigianalità e del mestiere necessari per creare la magia di un supporto che ci accompagna nella sua forma attuale da quasi 80 anni.
In questa sede non affronterò l’aspetto artistico delle copertine o l’effetto nostalgico della rinascita di questo formato, che obbligando l’utente a un certo tipo di ascolto, evoca ritualità ed emotività. Mi limiterò, invece, agli aspetti tecnici e storici per sviscerarne (o almeno provarci) tutti i segreti che lo hanno reso ormai mitico, senza prese di posizione ideologiche e documentando tutto tecnicamente al meglio delle mie possibilità.
Vi prego dunque di volermi accompagnare in questo lungo, ma spero interessante, viaggio attraverso la storia. Esploreremo le tecniche di fabbricazione e incisione, la stampa e la creazione di un master, e tutti gli accorgimenti necessari per realizzare un oggetto che è diventato un’icona del secolo passato e che anche in questo mostra di essere vivo e vitale, anche in confronto alla sua controparte fisica, ma digitale, ovvero il CD, e soprattutto rispetto alla sua nemesi, ovvero la musica liquida. Buon viaggio!
La storia del disco in vinile è un percorso affascinante che intreccia innovazione tecnologica, competizione commerciale e, sorprendentemente, una insperata rinascita nel XXI secolo. Il disco, inizialmente un supporto fragile e dalla durata limitata, si è evoluto in un formato apprezzato per la qualità audio ed il suo fascino tangibile. Questa evoluzione ha profondamente influenzato la creazione, la distribuzione e la fruizione della musica, culminando nella nascita del concetto di album (inteso come raccolta di canzoni) in forma di opera unitaria.
Prima dell’avvento del disco, la registrazione del suono era un concetto ancora in fase embrionale. Nel 1857, il fonautografo di Édouard-Léon Scott de Martinville permise la rappresentazione grafica delle onde sonore, senza però consentirne la riproduzione. Il fonografo a cilindro di Thomas Edison, introdotto nel 1877, segnò una svolta epocale, utilizzando cilindri ricoperti di stagnola per incidere e riprodurre il suono. Tuttavia, i cilindri presentavano limiti in termini di praticità, essendo ingombranti, fragili e difficili da duplicare.
La soluzione a questi inconvenienti giunse negli anni 1880 con Emil Berliner e il suo grammofono, che introduceva l’uso di dischi piatti. Inizialmente realizzati in zinco ricoperto di cera, i dischi passarono presto all’utilizzo della gommalacca rivelatasi più affidabile e durevole. Il disco di Berliner offriva molteplici vantaggi rispetto ai cilindri: maggiore facilità di produzione in massa, superiore resistenza e capacità di contenere più informazioni. Alla fine degli anni ’20, la velocità di 78 giri al minuto si affermò come standard industriale. Questi “78 giri”, realizzati in gommalacca ed in formato 10 pollici, erano però ancora piuttosto fragili e limitati a una durata di circa 3/4 minuti per lato.
La intrinseca breve durata dei 78 giri portò alla nascita del concetto di “album di dischi” ovvero una raccolta di singoli dischi venduti insieme in un cofanetto. Questa tipologia di raccolta permetteva di ascoltare opere più lunghe suddivise su più dischi, come ad esempio le colonne sonore dei musical.
La fine della Seconda Guerra Mondiale portò all’introduzione di nuove tecnologie e materiali, tra cui il vinile, o cloruro di polivinile (PVC), che si rivelò ideale per la produzione di dischi, essendo più leggero, resistente e flessibile rispetto alla gommalacca. Inoltre, l’introduzione del microsolco, anch’esso sviluppato in quegli anni, permise di rimpicciolire i solchi sui dischi in vinile, aumentando significativamente la durata del disco e riducendo la velocità di rotazione a 33 giri al minuto, un miglioramento che rivoluzionò sia l’esperienza di ascolto che la durata complessiva dei dischi.
Prima dell’introduzione del microsolco, i dischi a 78 giri, realizzati in gommalacca, avevano solchi molto più ampi e una durata limitata a pochi minuti per lato. Questi dischi, più pesanti e fragili, erano destinati a contenere solo brani singoli. Nel 1948, Columbia Records introdusse il Long Play (LP) a 33 giri, un disco in vinile da 12 pollici in grado di contenere fino a 20-25 minuti di musica per lato. Questa innovazione rivoluzionò l’ascolto della musica, permettendo per la prima volta di godere di un’intera sinfonia o di un album completo su un solo disco. Con l’LP, l’album divenne un’opera unitaria e coerente, pensata per un ascolto continuo e senza interruzioni, trasformando l’idea di raccolta di singoli brani in un’esperienza musicale più complessa e articolata.
“La RCA Victor rispose nel 1949 con il disco a 45 giri, un formato pensato non solo per competere con l’LP, ma anche per imporre l’acquisto di nuovi giradischi, essendo incompatibile con quelli per i 33 giri. RCA cercò di adattare il 45 giri al concetto di album creando cofanetti di singoli, ma la praticità e la qualità del LP a 33 giri prevalsero, affermandosi come formato standard per quello che ancora ai giorni nostri chiamiamo album. Il 45 giri trovò la sua nicchia come formato preferito per i singoli, contribuendo a distinguere ulteriormente il concetto di album da quello di semplice raccolta di canzoni. Inoltre, il 45 giri si rivelò ideale per i juke-box, grazie al suo foro centrale più largo, che ne facilitava la gestione nei meccanismi di selezione automatica. La popolarità del 45 giri nei juke-box contribuì in modo significativo alla sua diffusione. Inizialmente, RCA Victor introdusse una codifica a colori per i suoi 45 giri, associando ogni colore a un genere musicale specifico. Tuttavia, questo sistema venne abbandonato in seguito.”
Negli anni ’50, il suono stereofonico permise poi di registrare e riprodurre il suono su due canali separati, creando un’esperienza d’ascolto più immersiva e realistica. I primi dischi stereofonici, pubblicati nel 1957, soppiantarono rapidamente le registrazioni monofoniche, il disco in vinile dominò così il mercato musicale nei formati oramai assurti a standard, per gran parte del XX secolo, raggiungendo l’apice negli anni ’70 e ’80.
L’avvento del compact disc e dell’audio digitale, negli anni ’80, segnò l’inizio del declino del disco in vinile come formato commercialmente dominante. Tuttavia, a partire dagli anni 2000, il vinile ha vissuto una importante rinascita, inizialmente trainata da una nicchia di DJ e audiofili nostalgici, e poi estesa a un pubblico sempre più ampio attratto dal fascino del formato analogico. La sua rinascita e la ricerca per lo sviluppo di possibili nuove tecnologie, come il vinile ad alta definizione, dimostrano che le possibilità di un futuro per questo supporto sono ancora aperte.
I dischi in vinile, sebbene appaiano semplici dispositivi di riproduzione musicale, rappresentano un risultato di complesse interazioni chimiche che influenzano direttamente la qualità del suono. Esaminiamo adesso la composizione chimica del vinile e il ruolo degli additivi, evidenziando le possibili correlazioni tra la chimica del disco e la sua fedeltà sonora, perché infondo il vinile è molto più di un disco di plastica.
Composizione Chimica del Vinile:
La base dei dischi in vinile è composta principalmente da un pellet composto da una miscela di cloruro di polivinile (PVC) e acetato di vinile (PVA). Questa miscela conferisce al vinile le proprietà necessarie di flessibilità, resistenza e capacità di supportare una superficie liscia per la riproduzione sonora. Il PVC, nella sua forma naturale, è un materiale traslucido con una lieve tonalità grigiastra o bluastra.
Gli additivi sono cruciali per ottenere un materiale adatto alla produzione e alla riproduzione sonora. Essi costituiscono dal 4% al 25% del peso del disco e includono:
-Stabilizzanti termici: Questi additivi sono essenziali per prevenire la decomposizione del PVC durante i processi di produzione ad alta temperatura, garantendo la stabilità del materiale.
-Lubrificanti: Utilizzati per migliorare il flusso della resina durante la lavorazione e facilitare il distacco dagli stampi, i lubrificanti aiutano a mantenere la qualità della superficie del disco.
-Riempitivi: Utilizzati per ridurre i costi di produzione, i riempitivi possono includere materiali cellulosici, vinile riciclato, ma anche agenti antifungini che aiutano la preservazione del materiale nel tempo.
-Plastificanti: Migliorano la viscosità e le proprietà di fusione della resina, rendendo il vinile più modellabile e flessibile.
-Condizionatori: Questi additivi riducono la frizione dello stilo, il rumore di superficie e l’accumulo di elettricità statica, migliorando l’esperienza di ascolto.
-Coloranti: I coloranti in origine sono stati aggiunti per rendere invisibili i difetti superficiali del disco finito. Storicamente, il nero di carbone è stato il colorante più comune grazie alla sua capacità di distribuire la carica elettrostatica e alla sua insolubilità in acqua. Tuttavia, negli ultimi anni, il biossido di titanio e altri pigmenti colorati sono diventati più comuni.
Lo storico e prevalente uso del nero di carbone come colorante principale per i dischi in vinile ha sollevato interrogativi sulla qualità sonora dei dischi colorati. Alcuni produttori e case discografiche sostengono che il vinile colorato possa presentare un maggiore rumore di superficie rispetto al vinile nero. Le ragioni principali di questa differenza sono:
-Caratteristiche di fusione: I diversi tipi di PVC utilizzati per il vinile colorato possono influenzare la precisione dello stampaggio e la qualità della superficie del disco.
-Qualità dei pigmenti: I pigmenti utilizzati per il vinile colorato potrebbero non essere di qualità paragonabile al nero di carbonio, introducendo impurità e imperfezioni nella matrice del vinile.
Non tutti concordano sul fatto che il vinile colorato sia intrinsecamente inferiore a quello nero. Alcuni studi suggeriscono che una produzione di alta qualità possa minimizzare, pur senza annullare completamente, queste differenze sonore.
Discorso completamente a parte è quello dei vinili splatter o glitterati. Al biscotto (ovvero il materiale preriscaldato usato nelle macchine per stampare) in PVC vengono aggiunti a freddo altre parti di PVC colorato o glitter, che poi vengono pressati e fusi insieme. Questi elementi, non avendo le stesse caratteristiche chimico-fisiche, compromettono (anche pesantemente) la qualità sonora del supporto. La qualità audio inferiore è attribuibile anche ai Picture Disc, costituiti da una sorta di sandwich a tre strati: una base in PVC, un’immagine in cartone ed un sottile strato di PVC trasparente, dove viene effettivamente inciso il suono, e che inevitabilmente risentono di questa molteplice composizione a strati.
La conoscenza della chimica dei dischi in vinile è quindi estremamente utile per comprendere e migliorare la qualità sonora della riproduzione musicale. La complessa miscela di PVC, additivi e coloranti con l’ulteriore variabile dell’uso di materiali riciclati, influisce sulla flessibilità, resistenza, scorrevolezza e durata del disco, richiedendo numerose cautele ed accorgimenti per ottimizzare la qualità del supporto.
È importante sottolineare che la composizione del pellet di vinile, che verrà usato nello stampaggio, può variare notevolmente a seconda dell’origine delle materie prime. In passato, quando non c’erano specifiche regolamentazioni, questa variabilità era ancora più marcata. Anche oggi, le normative sui componenti ammessi nei materiali plastici non sono uniformi a livello globale. In Europa, ad esempio, la legislazione è cambiata più volte per migliorare la sostenibilità ecologica dei prodotti. Alcuni additivi, periodicamente esclusi per ragioni ambientali o di salute, sono stati sostituiti con altri materiali che possono avere proprietà soniche diverse. Inoltre, le fabbriche tendono a mantenere segrete le loro formule chimiche, aggiungendo ulteriore complessità al quadro.
La produzione di un master audio di alta qualità per questo formato presenta una serie di sfide tecniche complesse che richiedono un approccio specializzato da parte dell’ingegnere di mastering. L’ingegnere di mastering per il vinile è una figura chiave nella produzione di dischi. Il suo compito principale è preparare il mix finale di una registrazione che dovrà poi essere fisicamente impressa sul vinile, assicurandosi che il suono sia il migliore possibile per questo formato. Questo include l’equalizzazione, la compressione e l’ottimizzazione del bilanciamento stereo per adattarsi alle caratteristiche fisiche del vinile. Inoltre, l’ingegnere deve considerare la durata del disco e la disposizione delle tracce per evitare distorsioni e perdita di qualità. Un buon ingegnere di mastering ha un orecchio attento per i dettagli e una profonda conoscenza tecnica dell’audio.
Il vinile, a differenza dei supporti digitali, non è un contenitore infinito di dati audio. Le informazioni sonore vengono incise fisicamente su un disco in materiale plastico, la cui superficie limitata impone vincoli precisi alla durata e alla dinamica della musica. Come già accennato precedentemente, la durata di un lato di un LP standard da 12 pollici è determinata da diversi fattori:
– Volume: L’audio più forte richiede un solco più ampio per essere inciso, il che significa che meno linee si adatteranno al disco. In sostanza, l’audio più forte consuma più spazio, quindi meno linee potranno essere incise sul disco.
– Frequenza: Le basse frequenze, come quelle prodotte da un basso o da una grancassa, richiedono solchi più ampi rispetto alle alte frequenze. Questo perché lo stilo deve compiere movimenti più ampi per incidere un’onda sonora a bassa frequenza. Di conseguenza, la musica con molti bassi occuperà più spazio su un disco in vinile rispetto alla musica con meno bassi. Un ingegnere di mastering sa perfettamente che c’è una ragione per cui nei vecchi dischi le basse frequenze sono trattate in maniera dedicata, perché altrimenti lo stilo di taglio cercherebbe di tagliare in quattro direzioni contemporaneamente, rendendo fisicamente impossibile l’incisione .
– Separazione stereofonica: Una maggiore separazione stereofonica tra i canali destro e sinistro richiede anch’essa solchi più ampi. Questo perché lo stilo deve muoversi sia lateralmente che verticalmente per incidere un segnale stereo. Quindi, la musica con un’ampia immagine stereo occuperà più spazio su un disco in vinile rispetto alla musica con un’immagine stereo più ristretta. Gli ingegneri di mastering spiegano che la larghezza stereo può essere problematica quando si taglia un disco in vinile perché le informazioni stereo sono codificate nel movimento su e giù del solco. Se c’è molta separazione stereofonica nel materiale da incidere, il solco deve essere tagliato con sufficiente profondità in modo che lo stilo di taglio abbia spazio per muoversi su e giù senza sollevarsi sopra la superficie del disco.
Le basse frequenze, con la loro ampiezza e la loro tendenza ad occupare un ampio spettro stereo, rappresentano una delle sfide principali per il mastering del vinile. Se non gestite correttamente, possono causare una serie di problemi tecnici:
– Distorsione: Bassi stereo troppo potenti possono causare distorsioni durante la riproduzione, soprattutto con sistemi audio di fascia bassa.
– Salti dello Stilo: Un’ampiezza eccessiva nei bassi può far saltare lo stilo fuori dal solco, compromettendone la riproduzione.
– Sovraincisione: Solchi troppo vicini a causa di basse frequenze potenti possono sovrapporsi, creando distorsioni e click indesiderati oltre che danneggiare irreparabilmente il master perché la puntina salterà la traccia.
Per mitigare questi problemi, gli ingegneri di mastering adottano diverse strategie:
– Monocompatibilità: Rendere i bassi mono al di sotto di una certa frequenza, solitamente intorno ai 150/180 Hz, aiuta a controllare l’ampiezza del solco e a ridurre il rischio di distorsioni e salti dello stilo.
– Equalizzazione: Un’attenta equalizzazione può aiutare a ridurre l’ampiezza delle basse frequenze problematiche, preservando al contempo l’impatto sonoro complessivo.
– Controllo del Groove: consiste nell’utilizzo di un “calcolatore per la spaziatura dei solchi”. Nelle macchine di incisione più moderne, un computer analizza infatti il segnale audio e regola automaticamente la distanza tra i solchi per evitare sovraincisioni e distorsioni.
– Scelta dei Brani: La scelta dell’ordine di incisione dei brani è un’ottima soluzione per ottimizzare lo spazio di registrazione, inserire all’inizio i brani più dinamici ed alla fine i brani con meno escursioni di frequenze consente infatti di immagazzinare più minutaggio nella stessa facciata di un disco.
Le alte frequenze, in particolare i suoni sibilanti (come le “s” nelle parole), possono causare difficoltà sia durante l’incisione che durante la riproduzione:
-Surriscaldamento della Testina di Taglio: La registrazione di suoni sibilanti ad alto volume può surriscaldare la testina di taglio, danneggiandola e richiedendo costosi interventi di riparazione. Questo problema può essere mitigato utilizzando testine di taglio raffreddate ad aria o a liquido.
-Distorsione in Riproduzione: La sibilanza eccessiva può causare distorsioni durante la riproduzione, rendendo il suono sgradevole e affaticante per l’ascoltatore.
Per contrastare la sibilanza, gli ingegneri di mastering utilizzano diverse tecniche:
-De-essing: L’utilizzo di processori specifici, come i de-esser, permette di ridurre l’intensità dei suoni sibilanti senza compromettere la chiarezza del segnale audio.
-Filtri Passa-Basso: L’applicazione di un filtro passa-basso può attenuare le frequenze più alte, riducendo l’energia complessiva della sibilanza.
-Attenta Gestione del Volume: Un volume di incisione troppo elevato può esacerbare la sibilanza. L’ingegnere di mastering deve trovare il giusto equilibrio tra volume e coerenza del suono.
La curva RIAA, uno standard di equalizzazione adottato universalmente per i dischi in vinile, è un elemento fondamentale del processo di mastering. Questa curva, come spiegato in, consiste in una pre-enfasi degli alti e in una de-enfasi dei bassi durante l’incisione. Durante la riproduzione, un preamplificatore phono applica la curva inversa, ripristinando l’equilibrio tonale originale della musica.
La curva RIAA svolge due funzioni essenziali:
-Ottimizzazione dello Spazio: Riducendo l’ampiezza delle basse frequenze durante l’incisione, la curva RIAA permette di aumentare la durata della musica che può essere incisa su un disco.
-Riduzione del Rumore di Superficie: Aumentando l’ampiezza delle alte frequenze, la curva RIAA rende il rumore di superficie meno evidente durante la riproduzione.
-Fedeltà del Suono: La pre-enfasi degli alti e la de-enfasi dei bassi aiutano a mantenere la fedeltà del suono durante la riproduzione, bilanciando il segnale audio per una riproduzione più accurata. Questo processo non mira a “bilanciare” il segnale audio nel senso di equalizzazione, ma piuttosto a compensare i limiti fisici del mezzo vinilico e ottimizzandone la qualità della riproduzione grazie ad una incisione più omogenea in tutto lo spettro della frequenza udibile.
Il mastering per il vinile è dunque un processo tecnico estremamente complesso, che richiede una profonda comprensione dei vincoli del supporto analogico e delle strategie per superarli. Un ingegnere di mastering esperto, con una solida base tecnica e una raffinata percezione, può trasformare queste sfide in opportunità creative, contribuendo a preservare l’essenza dell’incisione e offrire un’esperienza d’ascolto autentica e coinvolgente. Se vi stavate chiedendo perché molti vinili moderni suonano maluccio, beh, adesso ne conoscete le ragioni. Il mestiere dell’ingegnere di mastering è una figura che negli anni era quasi scomparsa a favore di chiunque sapesse usare un PC con un programma di editing digitale, e ci vogliono anni per formare nuove figure così altamente professionalizzate e perché il sapere venga trasmesso.
Ora che abbiamo dunque il materiale che fisicamente creerà il disco ed il materiale audio che ci andrà inciso sopra vediamo di affrontare le metodologie e le attrezzature necessarie ad imprimere la musica sul supporto fisico.
Senza la maestria dell’incisione su lacca, il mondo del vinile sarebbe privo della sua anima analogica. Questa fase, un connubio di precisione meccanica e sensibilità artistica, rappresenta il punto di partenza per la creazione di ogni disco in vinile. proverò a guidarvi attraverso le intricatezze di questa arte, focalizzandomi in particolare sul tornio incisore, ovvero, lo strumento che scolpisce il suono sulla superficie della lacca.
Prima di addentrarci nel funzionamento del tornio, è importante comprendere la natura del supporto su cui opera: il disco laccato. Si tratta di un disco di alluminio rivestito da una vernice speciale, la cui formula, gelosamente custodita dai produttori, conferisce la giusta consistenza per l’incisione. Questa vernice, a base di resine e pigmenti, offre un equilibrio delicato tra morbidezza, per consentire alla puntina di incidere il solco, e resistenza, per sopportare le successive manipolazioni. La qualità della lacca è cruciale: ogni imperfezione può tradursi in rumori indesiderati sul disco finale.
Il tornio incisore è un capolavoro di ingegneria meccanica progettato per tradurre le vibrazioni sonore in un solco fisico. Non è semplicemente una macchina, ma un prolungamento della sensibilità dell’ingegnere del suono, che ne padroneggia i movimenti per dare vita al suono inciso. Analizziamone i componenti chiave:
-Piatto: Il piatto è il palcoscenico su cui ruota il disco lacca. La sua rotazione deve essere impeccabile, costante e priva di vibrazioni, per evitare distorsioni nel suono finale.
-Testina di Incisione: Al suo interno, una puntina, generalmente in zaffiro, vibra in risposta al segnale audio in ingresso. Un sistema di riscaldamento elettrico mantiene la puntina alla temperatura ottimale per l’incisione, riducendo l’attrito e garantendo un solco preciso.
-Braccio: Con movimenti fluidi e controllati, guida la testina di incisione lungo la superficie del disco lacca. La sua stabilità è fondamentale per evitare oscillazioni indesiderate.
– Sistema di Controllo: Gestisce la velocità del piatto, il movimento del braccio e altri parametri, garantendo un’incisione precisa e coerente.
-Microscopio: Permette all’ingegnere del suono di monitorare in tempo reale la larghezza del solco durante l’incisione.
Nel corso degli anni, il tornio incisore ha subito diverse evoluzioni, dando vita a diverse tipologie di macchine, ognuna con le proprie peculiarità:
-Torni Manuali: Rappresentano la tradizione dell’incisione su lacca. L’ingegnere del suono ha un controllo diretto sui parametri di incisione, come la larghezza del solco e la profondità di taglio. Questo approccio artigianale può conferire al suono un carattere unico e “caldo”.
– Torni Computerizzati: introdotti all’inizio degli anni ’80, all’ apice tecnologico del formato, offrono un livello di automazione più elevato. Un computer gestisce la maggior parte dei parametri, garantendo una maggiore precisione e ripetibilità.
Il processo di incisione inizia con la preparazione del disco lacca, che viene accuratamente pulito e posizionato sul piatto del tornio. La testina di incisione, riscaldata alla temperatura ottimale, viene posizionata sul bordo esterno del disco, pronta a iniziare la sua danza. Mentre il piatto ruota, la puntina della testina vibra in risposta al segnale audio in ingresso, incidendo un solco continuo a spirale sulla superficie della lacca. La magia risiede nella modulazione del solco: le frequenze alte producono solchi più fitti e sottili, mentre le frequenze basse producono solchi più larghi. Il volume del segnale determina invece la profondità del solco.
Il processo di half-speed mastering è una tecnica di incisione del vinile in cui la musica viene riprodotta e incisa a metà della velocità normale. Introdotta per la prima volta negli anni ’60 dalla Decca Records, questa metodologia fu sviluppata per migliorare la qualità delle incisioni stereo, soprattutto nel trattamento delle alte frequenze, difficili da gestire con i sistemi di taglio stereo dell’epoca. Negli anni ’70 e ’80, la Mobile Fidelity Sound Labs ha reso questa tecnica popolare tra gli audiofili, mentre ingegneri come Miles Showell di Abbey Road Studios hanno contribuito a modernizzarla e raffinarla.
Benefici del Half-Speed Mastering
Critiche e Limitazioni
Nonostante i vantaggi, alcuni esperti, come Kevin Gray (ingegnere di mastering americano), mettono in discussione l’efficacia del half-speed mastering. Tra i punti più controversi emergono:
In conclusione, sembra emergere che l’efficacia del half-speed mastering dipenda da vari fattori, come la competenza dell’ingegnere, la qualità del mastering originale e il sistema audio utilizzato per l’ascolto. Pur non essendo priva di controversie, questa tecnica rimane un pilastro per molti appassionati alla ricerca della massima qualità sonora, continuando a spingere i confini dell’incisione audio.
Accanto all’incisione su lacca, esiste una tecnica alternativa chiamata Direct Metal Mastering (DMM), che incide il solco direttamente su un disco di rame. Questo metodo offre alcuni vantaggi in termini di fedeltà audio, soprattutto per quanto riguarda le alte frequenze, al prezzo però di maggiori costi di gestione ed una minore adattabilità alle regolazioni dovute alla superiore rigidità del disco master in rame.
L’incisione su lacca è in conclusione un processo ricco di storia e di fascino, in cui la precisione della meccanica si fonde con la sensibilità artistica. Ogni fase, dalla scelta del tornio alla maestria dell’ingegnere del suono, contribuisce alla creazione di un disco in vinile di alta qualità. È un’arte che richiede conoscenza, esperienza e passione, la sintesi essenziale del suono analogico.
La produzione di un disco in vinile passa attraverso il fondamentale processo galvanico, che trasforma la fragile lacca incisa in uno stampo robusto e preciso, pronto per la stampa. Questo processo combina chimica, elettricità e precisione artigianale in una sequenza complessa e delicata.
– La Lacca: Si parte dalla lacca incisa, un disco di alluminio rivestito con una speciale vernice sensibile alle vibrazioni della puntina del tornio incisore. I solchi incisi rappresentano la registrazione audio, ma sono troppo delicati per resistere alla pressione della stampa.
– L’Argentatura: Per procedere con l’elettroformatura, la lacca deve diventare conduttrice di elettricità. Questo avviene tramite l’argentatura, spruzzando una soluzione a base di nitrato d’argento sulla superficie della lacca.
– Il Bagno Galvanico: La lacca argentata viene immersa in un bagno galvanico contenente nichel. Applicando una corrente elettrica controllata, il nichel si deposita sulla superficie della lacca, seguendo fedelmente i solchi incisi.
– Il Padre (Master): Dopo alcune ore, si forma uno strato di nichel che crea un negativo della lacca originale, con i solchi in rilievo, chiamato “padre” o “master”. Se le copie da stampare sono relativamente poche (meno di 1000) il Padre può essere usato direttamente per la stampa, naturalmente non sarà poi più possibile procedere a fare altre copie e il processo dovrà nuovamente iniziare dal taglio della lacca.
– La Madre: Il padre viene immerso in un nuovo bagno galvanico, depositando un ulteriore strato di nichel e creando un positivo, una copia esatta della lacca incisa, chiamato “madre”.
– Lo Stampo (Stamper): La madre viene nuovamente immersa nel bagno galvanico, generando un altro negativo, chiamato “stampo” o “stamper”. Realizzato in nichel puro, lo stampo è estremamente resistente e pronto per la stampa.
Lo stampo, con i suoi solchi in rilievo, rappresenta il negativo finale, pronto per imprimere la musica sul vinile. Il processo di stampa, un mix di precisione industriale e cura artigianale, è così descritto:
– La Pressa: Una macchina imponente, capace di esercitare una pressione di circa 100 tonnellate. Lo stampo è montato sulla pressa, pronto a ricevere il vinile fuso.
– Il Vinile: Sotto forma del pellet di PVC (la cui composizione abbiamo analizzato precedentemente), i granuli di pellet vengono fusi a circa 180° in un estrusore e compattati poi in una forma discoidale chiamata “biscotto”.
– Le Etichette: Precedentemente essiccate in forno per eliminare l’umidità, sono posizionate su entrambi i lati del biscotto.
– La Fusione: Il biscotto, con le etichette, viene inserito nella pressa tra i due stampi che riproducono i lati A e B del disco. La pressione (100 tonnellate) e il calore (180° anche se per ogni colore del pellet di pvc ci sono temperature leggermente diverse) fanno sì che il vinile fuso penetri perfettamente ed uniformemente nei solchi dello stampo.
– Il Raffreddamento: Un sistema di raffreddamento ad acqua solidifica rapidamente il vinile.
– La Rifilatura: Lame rotanti tagliano l’eccesso di vinile lungo il bordo del disco, definendone il diametro finale.
Dopo aver attraversato una fase di riposo cruciale, durante la quale il materiale plastico assume finalmente le sue caratteristiche fisiche definitive, si giunge al momento tanto atteso: l’imbustamento dei dischi. Questi tesori sonori, contenenti la sublime arte musicale, vengono avvolti con cura nelle loro eleganti copertine. Così, l’arte musicale, eterea e intangibile, trova una nuova vita, impressa in una forma fisica pronta ad essere apprezzata ed amata.
Dopo aver completato il nostro straordinario viaggio dal cilindro di Edison fino al vinile fatto, finito e imbustato, siamo pronti a tuffarci in una discussione appassionante. È giunto il momento di demolire i numerosi falsi miti, sia positivi che negativi, che circondano i formati fisici destinati alla riproduzione musicale, soprattutto quando si tenta di mettere a confronto vinile e CD. Questi miti, spesso non affrontati con rigore scientifico, meritano un’analisi approfondita. Prepariamoci a togliere la patina di ottusità e a svelare la verità nascosta dietro questi alfieri del formato fisico.
Suono analogico e suono digitale:
La differenza fondamentale tra digitale e analogico risiede nelle loro rappresentazioni della realtà, attraverso due diverse approssimazioni. Nel caso dell’analogico, si punta sulla similitudine, cercando di rappresentare la realtà nel modo più fedele possibile all’originale. Pensate all’incisione del solco sul vinile: questa è una trasposizione fisica per analogia del segnale sonoro. Il suono viene rappresentato nelle sue variazioni di ampiezza e frequenza attraverso variazioni di profondità all’interno dei solchi. Nel digitale, invece, si utilizza un campionamento del fenomeno reale per codificarlo numericamente e successivamente decodificarlo per riprodurlo. Il campionamento implica l’osservazione del fenomeno in specifici istanti di tempo, è dunque pacifico che, più campioni verranno prelevati, più accurata sarà la ricostruzione dell’ evento.
Per quanto riguarda i supporti musicali, il CD, con una frequenza di campionamento di 44,1 kHz e una profondità di 16 bit, consente un’approssimazione dell’evento sonoro che, per il nostro orecchio, è indistinguibile dalla realtà. Inoltre, offre una capacità di stoccaggio superiore rispetto al vinile, sia in termini di estensione in frequenza (anche se la differenza è talmente sottile che l’orecchio umano medio non riesce a percepirla), sia in termini di estensione dinamica. Per capire meglio cosa si intenda per estensione dinamica, potete consultare il mio articolo sulla Loudness War (linkato all’ inizio). In sintesi però, si può definire l’estensione dinamica come la differenza tra il suono più flebile e quello più imponente registrabile su un supporto.
Quindi il CD è superiore al vinile? Beh, parliamone, perché tra la teoria e la pratica c’è una bella differenza. Anche se il supporto digitale è teoricamente più capace di approssimarsi al fenomeno reale, bisogna fare i conti con il messaggio che deve essere stoccato, ovvero la musica. La riversazione su un supporto è solo l’ultimo dei passaggi che vanno dall’esecuzione, alla registrazione e al missaggio. Inoltre, raramente la musica necessita (specie ai giorni nostri) di intervalli dinamici che il vinile non possa supportare agilmente. Proprio certi limiti fisici dell’LP scoraggiano pratiche di editing selvaggio tipiche della loudness war, obbligando i produttori a mitigare tendenze che poco hanno a che fare con la corretta riproduzione del suono. Ecco dunque che una registrazione corretta e di qualità può essere goduta in maniera splendida su entrambi i formati. Senza contare che anche il supporto digitale ha le sue magagne come il jitter e la correzione degli errori. Altrimenti non si spiegherebbero tutte queste differenze sonore utilizzando un DAC invece di un altro, ma questa è una storia che prima o poi tratterò a parte in un futuro speciale sul supporto CD.
Il vinile si deteriora con gli ascolti il digitale è eterno:
Ehm… non è proprio così, o almeno non nei termini che uno potrebbe pensare.
Una delle critiche più frequenti ai dischi in vinile riguarda la loro presunta fragilità e il rischio di usura dovuto al contatto fisico tra la puntina del giradischi e il solco del disco. Tuttavia, uno studio condotto dal canale YouTube “VWestlife” dimostra che, con una gestione adeguata, l’usura è molto meno preoccupante di quanto si creda.
Per verificare l’impatto della riproduzione sul vinile, il video esamina tre giradischi rappresentativi di diverse fasce di prezzo:
Quattro copie identiche di un disco sono state utilizzate per il test: tre riprodotte 50 volte ciascuna su ognuno dei giradischi, mentre la quarta è rimasta intatta come controllo. L’esperimento si è svolto nell’arco di due mesi, con una riproduzione giornaliera durante la settimana e doppia nei fine settimana. Al termine, i dischi riprodotti sono stati confrontati con quello di controllo sia con un’analisi uditiva sia attraverso la comparazione delle forme d’onda digitalizzate.
Sorprendentemente, non è emersa alcuna differenza udibile tra i dischi, nemmeno per quello riprodotto 50 volte sul giradischi Quasar, che applica la maggiore pressione sul solco. L’analisi digitale delle forme d’onda ha rilevato una differenza misurabile solo per il disco riprodotto sul Quasar, ma tale differenza era così minima da risultare irrilevante per l’ascolto.
Un ulteriore test ha indagato se la riproduzione intensiva senza pause potesse aumentare l’usura. In questo caso, riproducendo 50 volte consecutive la stessa traccia sul disco già usurato ed usando il giradischi meno performante, si è osservata una maggiore usura del solco. Tuttavia, anche in questo scenario estremo, la qualità audio è rimasta accettabile.
Questo esperimento dimostra che l’usura del vinile è meno significativa di quanto si pensi, purché si adottino pratiche corrette:
In sintesi, i dischi in vinile, se curati adeguatamente, possono garantire una lunga durata anche con riproduzioni frequenti. La magia del vinile, dunque, non è solo nella sua qualità sonora, ma anche nella sua sorprendente resistenza.
La magia del vinile sta tutta nel processo analogico:
Questo è un altro falso mito da sfatare.
Sebbene molti audiofili associno il vinile all’audio analogico, le evidenze storiche dimostrano che il mastering digitale è una pratica consolidata da decenni. Già negli anni ’80, numerosi album di musica pop e rock furono registrati, mixati o masterizzati digitalmente, e nel 1982 un articolo evidenziava come il digitale fosse ormai la tecnologia destinata a diventare predominante per quasi tutte le nuove registrazioni. L’introduzione nel 1979 di un sistema di mastering digitale, che includeva un sistema Ampex a 16 bit per il tornio di taglio, ha ulteriormente facilitato la produzione di dischi in vinile, rendendo possibile la masterizzazione indipendentemente dal fatto che le registrazioni fossero analogiche o digitali. In effetti, pur rimanendo un supporto analogico, gran parte della musica che ascoltiamo su vinile oggi ha subito una fase di elaborazione digitale. Tuttavia, questo non implica che la qualità del suono ne risenta; anzi, l’uso del digitale può migliorare la resa sonora del vinile, ottimizzandone l’audio per i limiti fisici del formato stesso, senza alterarne l’esperienza d’ascolto finale.
Il Vinile a 180 g suona meglio:
E perché dovrebbe?
La grammatura di un disco in vinile non influisce positivamente sulla qualità del suono. Anzi, potrebbe rappresentare un problema se la macchina stampatrice non è regolata correttamente per gestire il peso e la temperatura necessari ad imprimere i solchi su una quantità maggiore di materiale. In pratica, le presunte stampe “audiophile” possono essere realizzate tranquillamente anche sulla grammatura standard di 140 g. L’unico vantaggio reale di un disco più pesante è la minore tendenza a deformarsi, grazie alla sua maggiore robustezza.
La Prima Stampa Di Un Vinile Suona Sicuramente Meglio:
E chi lo ha detto?
Se per stampa s’intendono le prime copie di una tiratura, in genere le migliori non sono proprio le primissime, ma piuttosto quelle che si trovano dalla decima fino a metà della tiratura massima possibile con uno stamper. In questo intervallo, la macchina è a regime di temperatura e pressione e lo stamper non presenta ancora degrado d’uso. Va detto che, con le macchine più moderne, il degrado è molto minore rispetto al passato.
Se invece, come è più comune pensare, per stampa si intende un’edizione di un disco, la faccenda si complica assai. In passato, le stampe venivano localizzate in diversi paesi del mondo e, all’interno dello stesso paese (come gli USA), affidate a molteplici fabbriche. Questo avveniva sia per le prime edizioni sia per le successive ristampe o riedizioni. Come è facile intuire, la differenza è fatta dalla qualità dell’impianto con le sue macchine e i suoi processi produttivi. In genere, paesi come il Giappone e la Germania sono molto rinomati per la stampa, mentre, parlando a titolo personale, trovo le stampe italiane generalmente di qualità più scadente. Tuttavia, ovviamente, dipende da caso a caso e una generalizzazione non può essere fatta.
Per concludere la discussione sul vinile e offrire una panoramica imparziale sui vari formati audio, vorrei proporre un test emblematico che ho seguito su YouTube. Questo test evidenzia aspetti chiave legati al concetto di riproduzione sonora.
Dom Sigalas, produttore musicale, compositore per il cinema, sound designer e musicologo londinese, ha condotto un’analisi approfondita delle variazioni di qualità del suono tra diversi formati audio, utilizzando il suo singolo “Home” come riferimento. Con una carriera prestigiosa che include collaborazioni con Universal Music, StudioCanal, Sony Pictures Home Entertainment e National Geographic, oltre al ruolo di Head Producer/Mixing and Mastering Engineer presso DoctorMix.com per sette anni, Sigalas ha le credenziali per offrire una valutazione autorevole sui miti riguardanti la presunta superiorità di un formato audio rispetto a un altro. Grazie alla sua esperienza, certificata dal titolo di Apple Digital Mastering Engineer, ha guidato un’indagine rigorosa e tecnicamente accurata sulle caratteristiche sonore di formati come vinile, nastro bobina, audiocassetta, Apple Music lossless e streaming su Spotify alla massima qualità.
Per garantire un confronto equo, tutti i campioni audio sono stati normalizzati a -14 LUFS (un’unità di misura del volume che rappresenta uno dei metodi più precisi per misurare il volume dell’audio riprodotto dai servizi di streaming, dai film e dalla TV) e riprodotti con apparecchiature consumer di livello medio: un Audio Technica Sound Burger per il vinile, un Technics RS BX 404 per le audiocassette e un Akai 4000DS Mark II per il nastro bobina a bobina. I risultati hanno rivelato le peculiarità di ciascun formato. Il nastro bobina a bobina si è distinto per un suono “setoso” e aperto, con una gamma media particolarmente espressiva, mentre il vinile ha offerto una tonalità calda, bassi ricchi e alti morbidi ed una dinamica meno compressa, confermandosi il preferito di molti ascoltatori. Le cassette, pur evocando nostalgia, hanno evidenziato una compressione marcata e una riduzione dei transienti, che ne limitano la fedeltà sonora rispetto ad altri formati. Sul fronte digitale, Apple Music lossless ha mostrato una maggiore fedeltà al master originale rispetto a Spotify, pur evidenziando una larghezza stereo leggermente inferiore e un roll-off negli alti.
Tutte le forme d’onda analizzate presentavano differenze significative rispetto al master digitale originale. Grazie alla sua doppia prospettiva di tecnico certificato e artista creativo, Sigalas ha messo in luce come ogni formato offra un’esperienza unica: l’analogico, con le sue imperfezioni, conferisce calore e carattere, mentre il digitale, specialmente nei formati lossless, pur preservando con maggiore fedeltà il master originale, finisce comunque per alterarlo in qualche modo.
Nel ringraziare chi ha voluto seguirmi in questo lungo viaggio, vorrei sottolineare, che tutto ciò dimostra come l’audio e le preferenze sulla modalità di ascolto siano un fatto puramente personale. Ogni formato, sia esso fisico o digitale, porta con sé pregi e limiti. Poiché i nostri apparati uditivi sono unici, non può esistere un vincitore assoluto. La preferenza personale, dunque, fa tutta la differenza del mondo, ed è bello che sia così.
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