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Da giorni ho in mente di scrivere un editoriale su questo tema, una riflessione che mi ha accompagnato mentre stilavo la top ten di Melodicrock.it. Questa sensazione si è rafforzata guardando la classifica degli iscritti a Rock Report e quella dei dischi più votati di Rock of Ages. Ma che scena meravigliosa abbiamo in Italia! E se tre indizi fanno una prova, allora eccone anche un quarto: nella mia personale top ten ci sono ben quattro dischi italiani, e sinceramente non lo avrei mai creduto possibile.
Devo fare però una premessa: non sono né nazionalista né partigiano. Anzi, in passato non ho mancato di criticare alcuni limiti della nostra scena musicale: pronuncia inglese spesso approssimativa, testi banali e arrangiamenti che sembravano copie sbiadite di band oltreoceano. Ma le cose stanno cambiando. Negli ultimi anni, ho visto emergere talenti che non pensavo il nostro paese potesse più sfornare. Prendiamo Steve Emm, che primeggia nelle nostre classifiche, o i Nightblaze, una band che con una piccola etichetta è riuscita a battagliare su Rock Report con un’audience internazionale e vincere l’award di Rock of Ages. Questo per me è motivo di orgoglio. Ho creduto in loro fin dal primo ascolto, come ho fatto con i Night Pleasure Hotel e, in ambito prog, con i Barock Project. In tutti questi casi ho sottolineato che i loro lavori non hanno nulla da invidiare alle uscite internazionali più blasonate. La mia recente polemica sul disco dei Nestor nasce proprio da qui: voglio distogliere l’attenzione da ciò che arriva dall’estero e spingerci a valorizzare ciò che abbiamo intorno. Se con quella provocazione sono riuscito a far ascoltare a qualcuno i dischi delle nostre band, penso di aver fatto la mia parte.
Non possiamo negarlo: la scena musicale italiana sta guadagnando riconoscimenti, anche internazionali. Questo è il segno che stiamo migliorando in termini di produzione, originalità e appeal globale. Ma la domanda resta: c’è un futuro professionale per questi talenti o siamo di fronte a un’ultima fiammata prima del declino?
Le difficoltà sono evidenti. Nonostante il talento, il sistema musicale italiano fatica a sostenere una scena indipendente. Produzione, distribuzione e promozione sono ancora troppo deboli. Mancano investimenti in tournée e festival nazionali, e la promozione internazionale è praticamente inesistente. Questi ostacoli rischiano di limitare gravemente le possibilità di crescita per i nostri artisti. Per crescere davvero, servono cambiamenti concreti. Innanzitutto, bisogna creare spazi dedicati alla musica emergente e sostenerli con finanziamenti adeguati. Una scena musicale non può prosperare senza una base solida. Poi c’è la questione dei pregiudizi. Ancora oggi, molti considerano la musica italiana inferiore rispetto a quella internazionale. Questo deve cambiare. Pubblico e media devono imparare a riconoscere il valore, il talento e l’originalità dei nostri artisti. Far conoscere la nostra musica all’estero è un altro passo fondamentale. La visibilità internazionale non solo offre nuove opportunità di crescita professionale, ma accresce anche il prestigio della scena italiana. Per questo, è essenziale che gli artisti siano preparati: saper produrre, promuoversi e creare reti di contatti è ormai indispensabile. Programmi di formazione, workshop e iniziative simili possono fare la differenza, ma serve anche una maggiore collaborazione all’interno del settore. Guardiamo alla Svezia: lì hanno imparato a fare sistema, superando rivalità e invidie personali per il bene comune. Le collaborazioni internazionali sono un altro elemento chiave. Lavorare con artisti e produttori stranieri non solo aumenta la visibilità, ma favorisce scambi culturali e artistici che arricchiscono tutti. E poi ci sono le band italiane, un vero tesoro nascosto. Molte hanno un potenziale straordinario, ma restano invisibili per mancanza di coraggio negli investimenti. È ora di dare loro una chance concreta. Con il supporto giusto, potrebbero fare un salto di qualità enorme. E non dimentichiamoci che in Italia avremmo anche la più importante etichetta per l’hard rock melodico. Se non sfruttiamo questo vantaggio, rischiamo di sprecare un’occasione irripetibile.
In definitiva, il futuro della musica italiana dipende da due fattori principali: il talento degli artisti e la capacità di creare un sistema che li supporti e li renda sostenibili. Questo è un momento cruciale, in cui potremmo davvero trasformare la scena del rock melodico italiana in un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale. Ma tutto dipende dalla nostra capacità di fare squadra e di guardare oltre i pregiudizi e le rivalità. Noi, nel nostro piccolo, ci stiamo provando e non per partito preso, ma per la qualità oggettiva che emerge. Spero che questa riflessione sia di stimolo anche ad altri.
© 2025, Samuele Mannini. All rights reserved.
Bella disanima su una scena, quella Italiana, che è tutt’altro che ferma e morta. Direi anzi che dal 2010 in avanti, con band e progetti quali Shining Line, Edge of Forever, Wheels of Fire, Soul Seller, Hungryheart, Charming Grace, Room Experience, Alchemy, Lionville, Laneslide e Perfect View si è visto un crescere continuo della qualità della nostra scena e le uscite del 2025 con Nightblaze, Steve Emm, Night Pleasure Hotel e ci aggiungerei anche lo splendido weastcost a firma Mike Della Bella Project confermano il trend sempre più positivo.
Quello che manca è però una fan base ed un’esposizione mediatica che possano supportare il Talento che i nostri stanno mettendo in campo, anche se sempre più spesso questo viene anche riconosciuto fuori dai confini Italiani (vedi il caso dei Nightblaze su Rock Report)… purtroppo però resto poco fiducioso che in futuro si possano aprire orizzonti più ampi per la nostra scena, ma in generale per tutta la scena Melodic Rock, Hard Rock e AOR.
Tutto giusto, purtroppo c’è veramente poca speranza dal punto di vista dell’esposizione mediatica generale, ricordiamo che laggente vuole Tony Effe e tutte le altre porcherie che vanno a Sanremo, non i Lionville.
Certo, se avessimo avuto Steve Emm e compagnia nel 1985…
Si, ma qui si parla di successo a livello di ‘scena’ e in questo ambito potremmo fare di più e meglio, per il successo ‘assoluto’ e ovvio che il nostro genere non sarà mai più mainstream…
Scena “meravigliosa”, a parer mio, proprio no.
Poi magari possiamo metterci d’accordo sul concetto di “meraviglioso” e guardare la cosa sotto altra prospettiva: perché se ci concentriamo sulla tanta forza di volontà di alcuni aspiranti artisti della scena italica, posso anche essere d’accordo sul fatto che possa esserci dall’ottimismo per il futuro di questa musica…ma se ci soffermiamo sul puro aspetto musicale, per me le cose sono ferme sullo stesso punto da anni.
Tra i nomi citati da Denis, faccio fatica a trovarne uno che mi dia una sensazione di “professionismo”: forse solo i Lionville meritano di essere inseriti nel novero della scena professionistica.
Tutti gli altri sono amatori che fanno dischi amatoriali per nostalgici che li valutano sulla base del loro approccio nostalgico.
Niente di più.
Per me il professionista scrive pezzi memorabili, con produzioni memorabili e con tour promozionali degni di tal nome…
L’amatore non fa nulla di tutto questo.
Gli Heat sono dei professionisti…i Treat…
Capite che partendo da questi presupposti, a parer mio la scena italiana è pressoché irrilevante da anni.
se tutti fanno codesto discorso, vai tranquillo che non cambierà mai nulla 🙂 , per arrivare al professionismo ci vogliono risorse che in questo paese ben raramente vengono dirottate sulla scena nostrana, mentre in svezia probabilmente si, e cmq a livello di idee e di tecnica, ma anche di feeling ultimamente penso proprio che potremmo insegnare qualcosa ai numerosi copia e incolla che vengono dall’estero. Io non valuto i dischi da amatore nostalgico, sia perché non sono nostalgico e nemmeno mi ritengo amatore, giudico con quarant’anni di ascolti e qualcosa in vita mia ho sentito e se mi dici che la produzione dei Barock Project è peggio di qualche svedesata io avrei qualche dubbio, se mi dici che ultimo disco dei Treat suona meglio di quello di Steve Emm avrei ben da ridire anche li…
Ma chi vuoi che investa in musica che non vende e non fa numeri rilevanti, Samuele?
Poi possiamo interpretare i numeri come vogliamo, ma le Major devono vendere e devono vendere bene…
Gli Heat hanno grandi mezzi perché se li sono meritati e perché fanno grandi numeri…
Che il nuovo album dei Treat suoni male, è un discorso che posso condividere ma implicherebbe un’osservazione ad ampio raggio su tutti i dischi attuali, prodotti con MacBook e Focusrite…
Guarda, mi sa che stiamo facendo polemica su due cose diverse, io nell’articolo mi riferisco alla scena italiana del melodic rock, ben considerando le dimensioni economiche attuali, non è che mi son fumato un peyote e ho sognato i Nightblaze live at Wembley :-). Sappiamo benissimo quali siano le dimensioni di fatturato attuali rispetto a quelle degli anni d’oro e gli heat probabilmente venderanno in una carriera quello che gli Whitesnake nel 1987 hanno venduto in un mese, e non è quello il punto. Sarò dunque brutale, ma io voglio dire, invece di spendere ciò che è stato speso per i Big Deal (che sembra Cristina D’avena che rifà i Royal Hunt) la stessa cifra non potrebbe essere investita in un valido gruppo italiano? E’ ovvio che non torneremo mai alle dimensioni economiche degli anni ottanta, ma nel suo piccolo io trovo che la scena italiana sia, mai come oggi, all’altezza di ciò che ci circonda e mi dispiace che vengano buttati soldi in cose ben più misere artisticamente.
Questo è un altro discorso però…
Potremmo criticare per l’ennesima volta Frontiers che preferisce investire soldi in progetti come The Big Deal, anziché puntare tutto sull’Italia…ma anche qui mi toccherebbe comunque in parte difendere Frontiers, che opera su doppio binario: non ha mai abbandonato la strada del progetto “one time wonder”, così come è indubbio che abbia nel suo roster tanti nomi italiani…
Se poi in concreto Frontiers preferisca investire all’estero, questa è una decisione che posso in parte capire e giustificare: Frontiers sa benissimo che i nomi italiani non hanno tutto questo grande appeal sulla scena internazionale, perché è sulla scena internazionale che si fanno le considerazioni di mercato…e quindi capisco benissimo quando si va a prendere la compagine svedese di turno e la si finanzia convinti del maggiore taglio internazionale, perché anche per me è così.
I Fans of The Dark parlano da soli.
Io credo che ci sia una partigiana sopravvalutazione di una scena che è poco più che mediocre. E credo che anche quando si fanno valutazioni di dischi nostrani, lo si faccia da sempre con poca obiettività.
Voi mi direte ovviamente di no, ma questa è una mia convinzione che non è stata smentita neanche in tempi recenti.
I Nightblaze, per tirare fuori uno dei nomi di grido, per me sono imbarazzanti ed infantili. E mi chiedo davvero come possano trovare tutti questi consensi…
Io sui gusti non discuto e se ti garbano di più i Big Deal dei Nightblaze o chi per loro, non è un problema, quello era un esempio se poi pensi che i big deal vendano più dischi dei Nightblaze o di altre band nostrane perché hanno maggior appeal internazionale…sappi che non è sempre vero e che a parità di distribuzione non ci sono differenze così significative, poi la frontiers sceglierà dove spendere i suoi soldi come meglio crede. A me la tua posizione sembra più ideologica che pratica, cmq a ciascuno le sue opinioni, l’ importante è che sia chiaro il messaggio dell’ articolo e che io personalmente non sono un difensore della scena italiana per partito preso e se qualcosa mi piace, dico il perché e se non mi piace spiego altrettanto, sia esso italiano svedese o turco.
E’ sicuramente ideologica, perchè la mia ideologia esterofila si è costruita sul dato esperenziale: dopo aver ascoltato per anni i prodotti italiani, sono giunto alla conclusione che non siamo bravi in questo particolare ambito musicale…o perlomeno non lo siamo quanto gli altri.