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Recensione

85/100

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Tessilgar – Growth – Recensione

03 Dicembre 2024 Comment Giorgio Barbieri

genere: Hard’n’heavy
anno: 2024
etichetta: Self Released

Tracklist:

01 – Agony
02 – Bad game
03 – By your side
04 – Call on me
05 – You know
06 – Your fight
07 – Wax circles
08 – Narcissus
09 – The mind on the wave
10 – Why you ever wandered

Formazione:

Stefano Panizzari: Vocals
Alberto Rozza: Guitars
Gabriele D’Alessandro: Guitars, Backing Vocals
Luca Lodigiani: Bass
Matteo Lo Sicco: Drums

Contatti:

https://www.facebook.com/Tessilgar/?locale=it_IT
https://www.instagram.com/tessilgarofficial/

 

Chiariamo subito una cosa prima ancora di parlare di “Growth”, album d’esordio dei lodigiani Tessilgar, il fatto che uno dei due chitarristi scriva per questo sito, non influisce minimamente sul giudizio che do all’album e chi mi conosce lo sa che è così, ma onde evitare che qualche fenomeno, come già successo in passato su un altro sito, lo dica, è meglio far capire subito che qualsiasi sparata in tal senso, ha la stessa valenza di una banconota da due euro e adesso passiamo ai fatti!

I Tessilgar arrivano, come già detto, da Lodi e zone limitrofe e nel tempo, dato che sono in giro da oltre quindici anni, hanno cambiato la loro proposta musicale, che inizialmente riguardava cover dei Bon Jovi e dei Motley Crue, fino ad arrivare ad inglobare influenze disparate che hanno definito un sound poco comune, nella loro bio citano Black Sabbath, Soundgarden, Avenged Sevenfold, Shinedown e sinceramente, per una volta, non dissento da quello che viene scritto, sarà che non c’è nessuna etichetta a pompare inverosimilmente con sproloqui molte volte inadatti, ma la sola e semplice voglia dei ragazzi lombardi di farsi conoscere molto onestamente.

il disco è molto ben ideato, confezionato ed è prodotto dagli stessi Tessilgar, che hanno usato un tipo di registrazione sì di stampo moderno, ma senza esagerare con iperproduzioni, che negli ultimi tempi sono tristemente frequenti nelle uscite delle grandi etichette e particolarmente interessanti, oltre agli intrecci sonori non tanto comuni per una band di estrazione hard rock, sono i testi ed in particolar modo mi interessano quelli dei brani che in assoluto ritengo gli highlights dell’album, ossia l’opener “Agony” dall’ottimo groove e centrata come apripista dell’album, il testo che, come tutti gli altri è ad opera del talentuoso cantante Stefano Panizzari, racconta delle sensazioni che avvolgono chi soffre di depressione e della conseguente agonia che attanaglia chi ne è colpito, quindi il primo singolo “By your side”, pubblicato quasi due anni fa che se da un lato, ricorda certo passato hard, dall’altro parla di bipolarismo e dell’alternanza di stati mentali, seguita poi da “Call on me”, sofferta ballad dal tiro novantiano che racconta una tristemente attuale storia di abusi da parte di un padre nei confronti della figlia e da “Narcissus”, pezzo dall’andamento un filo più complesso, che, capirete bene dal titolo tratta il tema del narcisismo, ma non mi voglio dilungare particolarmente su questi argomenti che tratteremo in maniera più approfondita in un’intervista di prossima pubblicazione con la band stessa.
Detto degli altri due singoli, ossia “You know” dal tiro snello e dal riff efficace e “Your fight”, incalzante ed incisiva, si passa al lato oscuro di “Growth”, con la pesantezza quasi doomy di “Bad game” spezzata da un assolo di ampio respiro, salvo poi spostarsi verso il metal più classico di “Wax circles”, che ha però la peculiarità di linee vocali striscianti ed insidiose; “The mind on the wave” risulta l’episodio che mi ha colpito di meno, non che sia una brutta canzone, anzi, ma il suo andamento in bilico tra post thrash e ricerca di melodia obliqua, non mi sembra che colga nel segno, come invece fa la conclusiva “Why you ever wandered” che pur muovendosi su simili coordinate, risulta più efficace, soprattutto nell’azzeccato ritornello e più in generale nelle soluzioni vocali del bravo Stefano, uno che mi ha ricordato il grande “Bud” Ancillotti della Strana Officina nei momenti più tosti e l’altrettanto grande Chris Cornell in altri frangenti più intimi, mi preme parlare anche della prestazione degli altri ragazzi, tutti all’altezza ed in particolare degli assoli con gusto di Gabriele d’Alessandro e Alberto Rozza, del pulsante e corposo basso di Luca Lodigiani e del grande lavoro di Matteo Lo Sicco dietro alle pelli.

Growth significa crescita, cosa che sicuramente i Tessilgar hanno ben presente cosa significhi, dato il passo già effettuato dal loro passato al loro presente e se tanto mi da tanto, il loro futuro riserverà altre sorprese, chiaramente non tutti accettano di buon grado i cambiamenti, ma chi lo fa, innanzitutto dimostra coraggio, a volte misto ad incoscienza, ma io penso che una band come loro vada premiata, specialmente se cerca di reinventarsi rimanendo fedele a se stessi, lo so, sembra un paradosso, ma se ascolterete l’album con attenzione, al di là di qualche passaggio da affinare, capirete di cosa sto parlando.

© 2024, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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