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Recensione

80/100

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Blind Golem – Wunderkammer – Recensione

10 Dicembre 2024 Comment Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 2024
etichetta: Andromeda Relix

Tracklist:

01 – Gorgon
02 – Some kind of poet
03 – Endless run
04 – Man of many tricks
05 – How tomorrow feels
06 – Golem!
07 – Just a feeling
08 – It happened in the woods
09 – Born liars
10 – Green eye
11 – Coda...entering the wunderkammer

Formazione:

Andrea Vilardo: Lead Vocals
Silvano Zago: Guitars
Simone Bistaffa: Keyboards
Francesco Dalla Riva: Bass, backing vocals
Walter Mantovanelli: Drums

Ospiti:

Daniela Pase: Choirs
Fabio Serra: Choirs, additional keyboards
Alessandra Adami: Intro reader on “It happened in the woods”

Contatti:

https://www.facebook.com/BlindGolem/

 

Per parlare del secondo album dei veronesi Blind Golem, dovrei riuscire a quantificare visivamente quanto sia il mio amore per le sonorità in questione, quell’hard rock settantiano di matrice chiaramente inglese e che vede Uriah Heep e Deep Purple come principali esponenti, ma è impossibile misurare una cosa talmente smisurata e scusate la ripetizione, ma non trovo altre parole adatte a farvene rendere conto. Disco che, come vedremo è molto variegato come composizioni, pur mantenendo una matrice hard/prog chiara e netta, qua e là, fanno capolino anche realtà più oscure come i Black Widow o gli High Tide, è certo che con queste premesse non si può ricercare qualsivoglia forma di originalità, ma la freschezza delle undici canzoni che compongono l’album è lì da vedere, ma soprattutto da sentire e questo perché i musicisti coinvolti nei Blind Golem non sono dei ragazzini alle prime armi, dato che Silvano Zago e Francesco Dalla Riva militano anche nei Bullfrog, band di hard blues attiva fin dal 1993 e con ben cinque album alle spalle, Simone Bistaffa ha suonato con Tolo Marton e con la tribute band Forever Deep, Andrea Vilardo canta con i progsters Moto Armonico e con la rock band Trifase, mentre Walter Mantovanelli è stato il batterista dei doomsters All Soul’s Day, di Paul Chain e tuttora suona con gli hard rockers Rocken Factory. Con questo bagaglio di esperienza, non poteva che venir fuori un’opera curata in tutti i sensi, sia come songwriting che come esecuzione, sia come artwork, che come produzione, basti pensare che i Blind Golem hanno “scomodato” Rodney Matthews, per copertina e retro, uno che, come saprete, ha curato gli artwork per Tygers of Pan Tang, Magnum, Asia, Diamond Head, cosa peraltro già successa con il precedente e altrettanto bello “A dream of fantasy” del 2021.

Rispetto all’esordio, in questo “Wunderkammer” (che significa stanza delle meraviglie, ossia una stanza che aveva di solito un’importanza per chi l’aveva fatta costruire o l’aveva decorata, come quella scoperta circa vent’anni fa a Palermo), c’è un certo spostamento verso l’Heep sound, quello che aveva caratterizzato la band di Ken Hensley (che è stato ospite in un brano del disco precedente) almeno fino a “Return to fantasy”, quindi quell’hard rock con tanti riferimenti al prog e tanti inserti melodici, sia vocali che. soprattutto, tastieristici e anche se l’opener “Gorgon” è più orientata verso i Deep Purple, con il suo assalto frontale di riff chitarristico e l’Hammond in stile John Lord, già dalla successiva “Some kind of poet” si ritorna verso gli Heep, con i cori polifonici e l’alternanza dei solos di chitarra e di tastiera, con “Endless run” ci si sposta verso lidi prog e si respira un’atmosfera quasi incantata, tipica di certe scelte attuate da alcuni gruppi nostrani quali la P.F.M. e Le Orme. Il Moog diventa protagonista con “Man of many tricks” a sostenere un brano dove la voce e la chitarra vanno a braccetto, in “How tomorrow feels” prende il microfono il bassista Francesco Dalla Riva e si sente la differenza con l’ottimo Andrea Vilardo, ma penso che la cosa sia voluta, quasi a ricalcare una similitudine con il timbro attuale di Bernie Shaw e quindi un aversione più aggiornata dell’Heep sound, bello lo stacco acustico che precede un finale coinvolgente, mentre con “Golem!” si arriva ad un songwriting più variegato, il che ricorda più le canzoni dell’esordio, belle le ripartenze continue e l’acustica nel finale, “Just a feeling” parte soffusa per poi sfociare in un susseguirsi di tutti gli strumenti, molto interessante l’uso del basso, e della voce molto enfatica, “It happened in the woods” si apre con l’intro letto da Alessandra Adami, la moglie di Dalla Riva, il quale si cimenta ancora con la voce principale a sostenere un brano dal mood orrorifico, con un synth squarciante e se volevate un singolo ecco “Born liars”, brano dall’andamento chiaramente orecchiabile, ma non per questo meno appetibile rispetto al resto dell’album, con un ritornello decisamente insistente, “Green eye” è stata “presa in prestito” dagli Uriah Heep stessi ed in particolare da Ken Hensley, che ne aveva scritta una versione demo nel 1972, mai finita su alcun disco degli Heep, i Blind Golem la hanno terminata e ne hanno portata alla luce la bellezza classica, la chiusura è affidata a “Coda…entering the Wunderkammer”, ideale seguito di “Golem!”, un quasi strumentale poggiato su voce e Hammond, farcito di assoli tanto lunghi, quanto affascinanti.

Se cercate originalità, state alla larga da “Wunderkammer”, qui dentro non c’è niente che non si sia già sentito durante gli anni settanta, ma quello che conta è il trasporto, l’amore per certe sonorità da parte dei Blind Golem, che non fa storcere il naso, ma sa di vecchio, quanto di fresco, sembra un paradosso, ma in realtà, se ascoltate le idee compositive ed esecutive di Silvano Zago e soci, capirete che non siamo di fronte ad un semplice duplicato di band storiche, come se una cover band suonasse pezzi originali, una sorta di tribute band di un’ intera epoca musicale, spero dunque di aver reso l’idea, e che apprezzerete questo disco, così come l’ho apprezzato io.

© 2024, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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