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My Darkest Red – Midnight Supremacy – Recensione

09 Ottobre 2024 1 Commento Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 2024
etichetta: Sneakout Records - Burning Minds

Tracklist:

01. The House On The Hill
02. By The Moonlight
03. Tears In The Snow
04. Black Lullabies
05. Eternity
06. The Flame
07. The Dirty Way
08. Only After Midnight
09. From Dusk Till Dawn
10. Merry-Go-Round
11. Dark Night, Fright Night
12. Miriam (She Wakes Up At Midnight)

Formazione:

Fabio Perini: Lead & backing vocals, rhythm guitar
Andrea Gusmeri: Lead & rhythm guitar
Andrea Verginella: Bass

Ospiti:

Francesco Verrone: Drums
Mickey E.Vil, Sonny Montanari, Oscar Burato: Keyboards

 

I My Darkest Red sono la nuova incarnazione dei Poisonheart, band hard rock bresciana che aveva debuttato nel 2017 per Sneakout/Burning Minds, ma che, con l’arrivo del bassista ex Dreamhunter Andrea Verginella, a completare la band composta anche da Fabio Perini alle voci e alla chitarra ritmica e da Andrea Gusmeri alla chitarra solista, vira più decisamente verso sonorità dark-gothic, pur mantenendo la base hard rock.

Date le premesse, per me, che sono un fan di quella scena, soprattutto inglese, che ha caratterizzato la prima metà degli anni ottanta, questo album arriva come una ventata di aria fresca in un panorama, quello hard’n’heavy attuale, abbastanza stagnante e, seppur i rimandi alle atmosfere create da The Sisters of Mercy, The Cure, Bauhaus e i The Damned di “Phantasmagoria”, siano abbastanza evidenti, la commistione di generi risulta ben fatta, con un piglio sicuramente più hard rock rispetto, ad esempio, ai The 69 Eyes, che hanno anche loro preso a piene mani da quella scena oscura e decadente.

L’inizio con “The house on the hill” può fuorviare e far sembrare che il gothic rock sia solo un lieve contorno per un robusto hard rock, seppur le tematiche siano già ben incentrate su i vecchi film horror, ma da “By the moonlight” si manifesta evidente l’amore per la darkwave, con Fabio Perini che si atteggia un po’ Dave Vanian e un po’ Andrew Eldritch, cosa che succede anche con la successiva “Tears in the snow”, che ricalca nel testo la classica storia d’amore per una donna che cerca conforto dopo una brutta esperienza, con “Black lullabies” si cambia sensibilmente tiro, pur mantenendo un velo di grigiore, il brano si evolve come una semiballad sorretta da un riff potente, con un testo incentrato sulla pazzia del genere umano nei confronti del mondo in cui viviamo, “Eternity” si dipana verso un horror metal che ricorda le cose oramai più easy fatte da Steve Sylvester, sia musicalmente che dal punto di vista delle liriche, “The flame” chiude quella che viene nominata Midnight side, con una tetra nenia che si apre in una semiballad acustica e che racconta l’ennesima storia orrorifica. La Supremacy side si apre, anche se chiaramente nel cd non ci sono due lati, con “The dirty way”, che mantiene il tiro dell’opener, preferendo un solido hard rock ai limiti col metal e lasciando la parte oscura solo per il testo, cosa che, tutto sommato, si protrae anche per le successive quattro canzoni, “Only after midnight”, “From dusk till dawn”, che ha un’andamento decisamente più vigoroso, “Merry-go-round” e “Dark night, fright night” e qui mi preme dire una cosa, è proprio tutto così rose e fiori questo album? Non del tutto e sono proprio le canzoni di questa ipotetica Supremacy side che non decollano del tutto, come quelle decisamente più ispirate della Midnight side, non che siano brutte, forse solo “Only after midnight”, con quel ritornello scontato rimane sottotono, ma il confronto con la prima parte è davvero squilibrato, per fortuna, arriva “Miriam (She wakes up at Midnight)”, che già dal titolo rimanda allo stupendo film gotico con Catherine Deneuve, Susan Sarandon e David Bowie, qui si capisce che i My Darkest Red si trovano decisamente più a proprio agio quando vogliono scrutare nella bruma e portare la loro musica verso quei territori che tanto hanno fatto proseliti in terra d’Albione negli anni ottanta, la canzone è un vero e proprio inno dark-goth con Fabio Perini in gran spolvero e le tastiere orrorifiche di Sonny “STK” Montanari a dettare legge.
Non è sicuramente una novità fare una crossover tra gothic-dark e hard rock, in passato lo hanno già fatti i The Cult, che però arrivavano dal goth, al contrario dei The 69 Eyes e molti altri hanno comunque venato il loro hard rock di oscurità, ad esempio i Bang Tango di “Dancin’ on coals” o gli L.A. Guns di “Hollywood vampires”, ma riuscire a farlo in maniera così ispirata e soprattutto così centrata sulla materia oscura, non è cosa da pochi.

Infine, se avete notato, ho scritto anche dei testi, cosa che è difficile fare se non si ha in mano un supporto fisico, cosa che oramai è difficile succeda, ma di questo devo ringraziare Stefano Gottardi, Boss della Burning Minds ed è anche per questo motivo che non ho scritto la recensione prima dell’uscita del disco, volevo dare più informazioni possibili, dare visibilità maggiore ad una band che, a mio parere, merita davvero e credo proprio di esserci riuscito. Grazie a questo si sa anche che la band ha curato gli arrangiamenti e l’artwork, ha prodotto l’album assieme a Oscar Burato e che quest’ultimo lo ha registrato e mixato ai Sonic Bang Studios di Isorella in provincia di Brescia, mentre la bella e tenebrosa dark lady in copertina e sul cd si chiama Nicoleta Nikita, tutte informazioni che, normalmente, non si riescono ad avere, soprattutto quando si ha a che fare con degli scarni files di streaming e personalmente tendo ad essere poco attratto da chi non vuole fornire lo stretto necessario per una recensione fatta come si deve, ma tant’è, il trend è questo purtroppo…

© 2024, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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