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26 Giugno 2024 7 Commenti Giulio Burato
genere: POP ROCK / ROCK
anno: 2024
etichetta: Island
Tracklist:
Legendary
We Made It Look Easy
Living Proof
Waves
Seeds
Kiss The Bride
The People’s House
Walls Of Jericho
I Wrote You A Song
Living In Paradise
My First Guitar
Hollow Man
Formazione:
Jon Bon Jovi – voce, chitarra
Phil X – chitarra
Hugh McDonald – basso
Tico Torres – batteria
David Bryan – tastiere
Parlare dei Bon Jovi per me è come parlare della squadra di calcio per cui tifo. Difficile parlarne obbiettivamente, difficile, forse, parlarne obbiettivamente in negativo.
Ho iniziato ad innamorami del melodic-rock ascoltando nel 1987 “You give love a bad name” e “Livin’ on a prayer”, canzoni che sono pietre miliari per chi ascolta questo genere, canzoni di una ridondanza a 360° per chi ama la musica.
Tutta questa premessa per dire che non ci saranno termini di paragone, sarebbero moralmente illegali, tra ciò che esplose sul pianeta musicale con quel fantasmagorico “Slippery when wet” a quello che ci troviamo di fronte in questo 2024, ossia al loro sedicesimo album in studio, intitolato “Forever”.
La recente carriera discografica dei Bon Jovi ha intrapreso strade molto soft, per vari motivi, sul filone di gruppi rock moderni dal grande appeal; la dipartita, poi, del grande Ritchie Sambora è stata indubbiamente un boomerang che è tornato al mittente. “Forever” non si discosta molto dal precedente album “2020”, ricco di tante canzoni “morbide”, per non dire “molli”, e con la presenza della chitarra come mera apparizione (fa specie sentire la canzone intitolata “My first guitar”), come un miraggio nel deserto.
Evito il track by track ma, a campione, vado ad analizzare, mestamente, delle canzoni, tra cui i singoli che, alla lunga, si fanno apprezzare, rispetto al piattume generale.
Se “Legendary”, dal titolo, a deduzione, auto-celebrativo, non avendone bisogno, vista la quantità industriale di copie vendute in 40 anni di carriera, cerca di dare una sorta di stimolo corale, il secondo singolo “Living proof” fa il verso, e non la rima, con una “it’s my life” riportata a galla ventiquattro anni dopo. A chi la ascolta in maniera staccata, senza la antecedente discografia, piace e può piacere, ma ai vecchi “volponi” che ricordano la chioma cotonata di Jon negli anni ’80 lascia qualche perplessità in più. Nel complesso la parte della chitarra è la più accattivante dell’album.
A pelle “Waves” mi piace, è la canzone che preferisco, ma, dico io, perché non spingere un po’ di più con quella sessione ritmica? “Seeds” è una buona canzone pop-rock, ben arrangiata, con quegli archi che completano il ritornello, ma distante dalle meraviglie bonjoviane.
I lenti “Kiss the bride” e “I wrote you a song” sono tendenzialmente dal facile sbadiglio; la voce “roca” di Jon si adagia perfettamente alla struttura delle canzoni, che ahime’ non graffiano. La batteria del ritornello di “Living in paradise” sembra ridare un giusto spazio al buon Tico Torres, anche se quello spazio ha delle rullate che sanno un pò del già sentito. “Walls of Jericho” è una versione 2.0 di “Bad medicine”? Scusate, ritiro la domanda; non dovevo e volevo fare dei paragoni. Si chiude col lento acustico “Hollow man”, musicalmente devoto al “boss” americano per eccellenza.
Non mi aspettavo molto da questo “Forever”, ma sono sincero nel dire che ciò che ho sentito non mi fa salire la pelle d’oca. Mi piange il cuore dare questo difficilissimo voto in recensione, e probabilmente qualcuno potrebbe far stampare una locandina con scritto “Wanted dead or alive” (cit.), ma la squadra per cui tifo stenta a farmi emozionare come nei fasti che furono.
Per sempre leggende, per sempre miei idoli, per sempre Bon Jovi.
Perdonatemi.
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