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Luca Bonzagni ci parla dei Krell e della sua storia musicale.

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Luca Bonzagni ci parla dei Krell e della sua storia musicale.

20 Dicembre 2022 0 Commenti Giorgio Barbieri

Parlare con Luca Bonzagni è un po’ come scoperchiare lo scrigno dei ricordi per me, che ho vissuto il periodo d’oro del metal, italiano e non; per chi non lo sapesse, Luca è il talentuosissimo ex cantante dei Crying Steel, band storica che, assieme a Death SS, Vanadium, Strana Officina, Vanexa, Sabotage e tanti altri nomi magari meno conosciuti, ha scritto la storia della musica dura nel belpaese, ora Luca si ripropone alla ribalta con i Krell, interessante proposta hard’n’heavy, che ha da poco pubblicato “Deserts” attraverso la Sneakout Records/Burning Minds. Andiamo a sentire le parole dello storico cantante bolognese…

G -Ciao Luca, innanzitutto direi che potresti presentarti al pubblico di Melodicrock.it, che magari non conosce il tuo illustre passato e che vuole conoscere il tuo presente.

L – Ciao Giorgio e ciao a tutti i lettori.
Come prima cosa vorrei sinceramente ringraziarti per questa intervista!
Per quanto riguarda la mia presentazione cosa posso dire? Sono un vecchio cantante che suona (canta) dal 1981 e ho co-fondato i Crying Steel con cui ho inciso tre dischi (Crying Steel, On the Prowl, The Steel is Back, più la prima apparizione della band su vinile nella compilation Heavy Metal Eruption con il brano Thundergods).
Il mio ultimo lavoro è appunto Deserts con la band Krell che abbiamo fondato io e Francesco.

G – Io sono soprattutto un fan e quando ho saputo della possibilità di intervistarti, non ti nascondo che ho avuto quel sentimento di gioia e paura al tempo stesso, che ti prende quando ti incontri, seppur virtualmente, con uno dei miti degli anni ruggenti del metal italiano, quindi, è normale che ti chieda un paio di cose su quelli che sono stati i tuoi esordi, i Crying Steel, raccontaci un pò quegli anni, come li avete vissuti e se avete mai avuto l’impressione di essere in grado di farcela.

L – Ti ringrazio molto per l’apprezzamento, sicuramente immeritato. Gli esordi risalgono all’autunno del 1981 quando ho incontrato Alberto Simonini e Angelo Franchini che suonavano nei Wurdalak. Dopo il nostro incontro decidemmo di fondare i Crying Steel che hanno effettuato il loro primo concerto nel marzo ’82. Poi dopo qualche cambio di chitarrista e batterista ci siamo ‘stabilizzati’.
Si era agli esordi e l’HM non era certamente diffuso e ‘sdoganato’ come ora. Ci siamo divertiti tanto e ci siamo anche meravigliati del relativo successo ottenuto nonostante fossimo molto ‘underground’. Avevamo molto pubblico in Europa ed eravamo anche in classifica in un paio di radio statunitensi. La realizzazione di “On the Prowl” ci ha permesso ulteriore visibilità ed apprezzamento da parte dei fans che lo hanno votato come miglior disco HM italiano del 1987.
Non ci siamo mai preoccupati troppo di ‘farcela’, non nutrivamo nessuna aspettativa, suonavamo ovunque e cercavamo di comporre brani che piacessero in primis a noi.

G – Se ti va, dicci come mai hai abbandonato la band nel 1988 e poi successivamente nel 2009 e se sei ancora in contatto con gli altri.

L – Sono una persona creativa e con il ‘difetto’ di aver bisogno costantemente di stimoli. Quando la musica diventa una semplice ripetizione di cose pregresse, senza avventurarsi in nuovi progetti e nuove idee, il mio interesse cala drasticamente. Decisi di lasciare proprio perchè ero stanco di suonare sempre le solite songs. Uscito io, Alberto mi seguì a ruota.
Negli anni successivi, dopo 2 o 3 reunion dei CS, al prospettarsi dell’ennesima, mi sono categoricamente rifiutato ed ho invece proposto di rimetterci insieme per fare un nuovo disco. Così è nato “The Steel is Back”. Purtroppo però, alla fine della registrazione di “The Steel is Back”, uscito purtroppo Alberto, anima e cuore dei CS nonchè, nel bene e nel male, vero collante e catalizzatore della band, sono saltati tutti gli equilibri esistenti e c’è chi si è sentito finalmente libero di mostrare la sua vera e reale personalità, fino a quel momento evidentemente repressa. Questo ha portato ad uno ‘scollamento’ degli intenti ed interessi comuni e ad un insostenibile deterioramento dei rapporti fino all’increscioso episodio che mi ha a sua volta portato alla decisone di abbandonare, senza alcun rimpianto.
Da quel momento, nessun tipo di rapporto con nessuno degli appartenenti, Alberto Simonini a parte, ovviamente. I CS erano i CS quando c’era Alberto. Uscito lui, Crying Steel è solo un nome, un insieme di lettere.

G – Adesso torniamo al presente e il presente sono i Krell, innanzitutto, spiegaci se siete un progetto tuo e di Francesco (Di Nicola, anche lui ex Crying Steel) o se siete una band a tutti gli effetti?

L – Il progetto è nostro (mio e di Francesco) e siamo una band strutturalmente ‘fluida’.

G – Come siete nati e come siete entrati in contatto con Paolo Caridi, batterista che ritengo tra i migliori nel panorama hard’n’heavy e non solo italiano?

L – Paolo, grande professionista, lo abbiamo contattato attraverso Roberto Priori ed ha sostituito il precedente batterista che avevamo.

G – Il vostro approccio musicale è più vicino all’hard rock, come ho scritto nella recensione, tu usi delle vocals più ragionate, mature, e Francesco sciorina riff di marca class tipo Dokken, ti trovi in questa definizione? Era quello che volevate?

L – Quando abbiamo iniziato a comporre brani, eravamo entrambi d’accordo su una cosa, non avremmo fatto HM classico. “Deserts” è il compromesso tra stili ed idee diverse scaturite in ambito compositivo, con il difficile equilibrio che si cerca di raggiungere quando nessuno deve essere scontento del risultato.
Per quanto riguarda i rimandi e le assonanze che possono essere identificate nei nostri brani, ti voglio far simpaticamente notare una costante: tra tutti quelli che lo hanno ascoltato, non ci sono stati due ‘accostamenti’ uguali. Chi ci sente un richiamo, chi un altro etc…

G – L’uso di una sola chitarra, vi da un suono più “agile”, meno roboante, ma sicuramente più vario, è questa la direzione in cui vanno i Krell o pensate di aggiungere magari una ritmica e, in futuro, cambiare magari un pò il tiro?

L -La questione chitarra singola è stata ‘decisa’ a monte e non è stato un problema. Per quanto riguarda la modifica del ‘tiro’, come dicevo, quando si compone insieme si può decidere una direzione ma, non ci sono limitazioni di sorta (HM a parte).

G – Il vostro nome mi ricorda qualcosa di fantascientifico, ma sinceramente non ricordo quale fosse il contesto, ci spieghi cosa significa Krell e cosa rappresenta?

L – Krell è il nome del misterioso ed avanzatissimo popolo alieno che anticamente popolava ‘il Pianeta Proibito’ (cit. cinematografica) dove l’unico attuale abitante umano, insieme alla figlia, dava vita e materializzava i propri pensieri/sogni/incubi attraverso i macchinari e l’energia di quell’antico popolo.

G – Nel booklet che accompagna il cd, avete scelto di mettere solo delle fotografie, come mai non avete incluso i testi delle canzoni?

L -Produzione ed etichetta hanno ritenuto più evocativo e particolare utilizzare esclusivamente un linguaggio visivo per connotare il lavoro, uscendo dagli schemi standard tradizionali.

G – Nella presentazione dell’album, si dice che i pezzi sono stati scritti tra il 2013 e il 2018, posto che, con un periodo di gestazione così lungo, magari avrei preferito un po’ più di varietà, ci dici come avete scritto il materiale presente su “Deserts” e se avete pronti già altri pezzi?

L -Grazie al cielo non avevamo nessuno che ci corresse dietro hahahah. Per quanto riguarda la ‘varietà’ mi riallaccio al discorso precedente riguardo la necessità di raggiungere un compromesso compositivo che non scontentasse nessuno.

G – Come vi trovate con la Burning Minds? Personalmente, ritengo che il lavoro che sta facendo Stefano Gottardi, sia enorme e molto preciso.

L – Vogliamo ringraziare Stefano per il grandioso lavoro e supporto datoci. Ovviamente ci troviamo benissimo.

G – Ai tempi, lessi (non ricordo dove, forse su H/M) che la tua voce era quasi Halford-clone, aldilà del fatto che io ritenessi un complimento essere accostato al leggendario cantante dei Judas Priest, ci ho sempre sentito qualcosa di personale, che adesso si è fatto più evidente. Sei d’accordo con questa disamina?

L -Assolutamente. Sono stato accostato moltissime volte ad Halford (paragone insostenibile data la caratura di Halford, lui giocava in un altro campionato),
ma, ringraziando sinceramente tutti quelli che lo hanno fatto, se andiamo ad analizzare tecnicamente le due vocalità, troviamo che l’unica cosa relativamente in comune sia l’estensione, tutto il resto non è a mio modestissimo avviso confrontabile, dal timbro alla tecnica, all’interpretazione, due stili differenti.
Ma ripeto, Halford è Halford.
Per quello che mi riguarda, ho sempre cantato ‘come mi veniva’, in maniera naturale.

G – Come già scritto sempre in fase di recensione, i pezzi più esaltanti sono la title track, che ricorda qualcosa dei Blue Murder, l’hard blueseggiante “Love’s a flame”, la ritmata “In the cold”, la rocciosa “Why I’m here”e la mia preferita, ossia il boogie metal di “Mantis”, puoi dirci, anche se essendo tue penso che tutte le canzoni siano nelle tue grazie, quali sono i tuoi highlights e perchè?

L – Bella domanda, ma sai che non saprei risponderti?

G – Tempo fa, feci una domanda simile anche agli Extrema, che seppur diversi da voi dal punto di vista musicale, sono una band storica del panorama italiano, hai mai sentito parlare di “Overload”, il film documentario di Daniele Farina sulla situazione musicale in Italia, tra talent-show, tribute-band ed il mercato discografico? Dall’alto della tua esperienza, cosa ne pensi in merito?

L -“Overload” non l’ho visto, ma ti posso dire che, rispetto ad una volta, la capacità tecnica attuale anche a livello ‘basso’, è semplicemente mostruosa.. Ci sono ragazzi che cantano e suonano letteralmente da ‘far paura’. Però ho notato un appiattimento, una deriva votata all’apparire più che all’essere. I talent li lascerei da parte perché hanno ben poco a che fare con il talento, o perlomeno diciamo che è tutto un bel ‘pacchetto’ che ha una sola finalità. É business.
Le tribute band le concepisco solo in questo contesto. É business o divertimento tra amici. Personalmente ritengo il fare musica (intesa come espressione) esclusivamente quando questa  musica è propria. Ma questa è la mia personalissima opinione, ovviamente.
Per quanto riguarda gli Extrema (grandi), ti posso dire che subito dopo la mia uscita definitiva dai CS, misi in piedi un progetto con Max Magagni, Andrea Ge e Mattia Bigi, grandissimo bassista degli Extrema. La band però è durata purtroppo poco.

G – Siamo alla conclusione dell’intervista e l’ultima è una non domanda, ossia puoi dirci tu, a ruota libera, cosa ne pensi del progetto e perchè dovremmo acquistare “Deserts”.

L -Siamo molto contenti di come stiano andando le cose e speriamo di poter portare avanti il discorso. ”
Deserts” è da acquistare ed ascoltare perché è un HR-H&H inizialmente fruibile ma, ascoltandolo invece in maniera più attenta e magari ripetuta, permette l’affioramento di tanti strati e sfumature, non così evidenti ad un primo e magari frettoloso approccio.

Giorgio, ti rinnovo i ringraziamenti per lo spazio concessomi e saluto affettuosamente tutti i lettori.
Ciao.
Luca

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