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Higway Sentinels – The Waiting Fire – Recensione

06 Ottobre 2022 1 Commento Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Louder than loud

Tracklist:

01. I'm A Loser
02. Face In The Crowd
03. Afterlife
04. Love And Hate
05. Victim Of The Night
06. Tortured Soul
07. We Won't Be Forgotten
08. All Comes Trashing Down
09. I Don't Care Anymore
10. Not Too Late
11. How To Be Real
12. Hell In A Handbasket

Formazione:

David Reece - Vocals
Steven Rosen - Guitars
Jimmy Waldo - Keyboards
Don Van Stavern - Bass
Mark Zonder - Drums

Ospiti:

Joe Satriani
Tracii Guns
Bumblefoot
Paul Gilbert
Mike Flyntz
Joe Stump
Herman Frank

Contatti:

https://www.facebook.com/profile.php?id=100048099653147

 

Quando si ha a che fare con progetti di questo tipo, mi scorre sempre un brivido lungo la schiena e un dubbio mi prende: siamo di fronte al solito mischione di ospiti buttati dentro per attirare l’attenzione e senza alcun coinvolgimento, soprattutto emotivo? Beh, potrei dire in parte, perché una parvenza di gruppo gli Highway Sentinels sembra che ce l’abbiano, visto che l’idea è nata da due amici di vecchia data, ossia Jimmy Waldo, tastierista fondatore degli Alcatrazz e dei New England, oltre che collaboratore di Quiet Riot, Vinnie Vincent, Blackthorne, Graham Bonnet Band, Pretty Maids, W.A.S.P., The Skull, The Scream, e Steven Rosen, chitarrista, produttore di un oscuro demo delle Driven Steel nel 1994 assieme allo stesso Jimmy e giornalista che ha avuto a che fare con nomignoli tipo Led Zeppelin e Van Halen.

A quanto pare i due artisti hanno deciso di circondarsi di chitarristi solisti diversi, a seconda del tipo di canzone, ma di creare comunque una sorta di band, reclutando alla voce David Reece, il quale non credo che abbia bisogno di molte presentazioni, bastano due nomi: Bangalore Choir e Accept, al basso Don Van Stavern, attuale bassista dei Riot V, ex S.A.Slayer e collaboratore dello stesso Waldo negli ultimi due album degli Alcatrazz e alla batteria, quel mostro di bravura che è Mark Zonder, batterista storico di due leggende quali Warlord e Fates Warning ed ora negli A-Z assieme all’ex compagno nei Fates Warning, Ray Alder e la cosa sa molto di supergruppo, quindi, è così? Sì. È necessario questo spiegamento di forze? No, perchè la musica degli Highway Sentinels è quell’hard rock in bilico con l’heavy metal che fece la fortuna, tanto per dare un’idea, del MSG primo periodo, ossia quello meno melodico, quello che, in modo molto ruffiano, strizzava l’occhio sia ai 70s che alla nwobhm e quindi non è certo circondandosi di musicisti di alto spessore che “The waiting fire” può fare il salto di qualità, le composizioni sono di livello normale, nè scarse, nè ottime, in parole povere avrebbero potuto essere suonate anche da completi sconosciuti e molto probabilmente avremmo ottenuto lo stesso effetto. Si sente che le canzoni risalgono al passato, alcune di queste come “Afterlife” e “We won’t be forgotten” derivano dal periodo di Jimmy Waldo con i Blackthorne, mentre “Victim of the night” era stata scritta da David per il debutto dei Bangalore Choir, ma non venne inserita, tuttavia questo non è un male, nonostante la presenza di chitarristi enormi quali Joe Satriani e Paul Gilbert, i pezzi scivolano via snelli e senza molti fronzoli, anche la piuttosto lunga “Tortured soul”, dall’incedere quasi doom non fa eccezione, anche perché se chiudete gli occhi vi sembra di essere di fronte ai Candlemass, magari quelli con Mats Levén alla voce. Il voto è giustificato da una certa alternanza tra brani interessanti quali l’opener “I’m a loser” che sa tanto di vecchi Whitesnake, “Victim of the night” dal riff scalpitante e dalle tematiche tipiche della nwobhm, “We won’t be forgotten” anch’essa in bilico tra hard rock e heavy metal, ma dal coro arioso, epico e melodico al tempo stesso, “All comes crashing down”, il pezzo più vicino al genere preferito dai fruitori di questo sito, hard melodico e aor ben fatto, con sintetizzatori che fanno capolino e aperture vicine a certo prog più leggero, e brani decisamente meno intriganti quali le anonime “Face in the crowd”, “I don’t care anymore”, “How to be real”, “Hell in a handbasket”, senza grinta e senza spunti, cose che perlomeno si ritrovano in “Love and hate” e “Not too late”, che seppur non brillando di vigoria, hanno un paio di sussulti in grado di attirare l’attenzione.

Su tutto, a parte gli assoli, che con certi personaggi di peso non possono che essere di ottima fattura, mi piace segnalare la buona prova di David Reece, sicuramente più ispirato che nel suo ultimo album solista, cosa che mi ha discretamente stuzzicato, peccato per i diversi passaggi a vuoto, che avrebbero potuto essere evitati, a mio parere, coinvolgendo nel songwriting gli altri musicisti, in fin dei conti, Mark Zonder e Don Van Stavern portano un bagaglio di esperienza di non poco conto e non attingerne è stato deleterio e, trattandosi forse di un progetto, può darsi che se ci fosse un secondo capitolo, potrebbe avere gli stessi pregi, ma anche gli stessi difetti, per cui mi auguro che Jimmy e Steven allarghino l’ampiezza della collaborazione, sicuramente ne verrebbe fuori qualcosa di molto interessante, per il momento si resta sul discreto e dati i nomi coinvolti, è un po’ pochino.

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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