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Recensione

77/100

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Sinner – Brotherhood – Recensione

01 Settembre 2022 1 Commento Vittorio Mortara

genere: Hard Rock / Melodic Metal
anno: 2022
etichetta: Atomic Fire

Tracklist:

1. Bulletproof
2. We Came To Rock
3. Reach Out
4. Brotherhood
5. Refuse To Surrender
6. The Last Generation
7. Gravity
8. The Man They Couldn't Hang
9. The Rocker Rides Away
10. My Scars
11. 40 Days 40 Nights

Formazione:

Mat Sinner – Voce e basso
Tom Naumann - Chitarre
Alex Scholpp - Chitarre
Markus Kullmann – Batteria

 

E sono venti! Ebbene si, signore e signori, “Brotherhood” è il ventesimo album in studio per la storica band di Matt Sinner. Cominciata nel lontanissimo 1982 con “Wild’n’evil” all’insegna di un grezzo ma orecchiabile hard rock, la carriera dei tedeschi si è evoluta prima verso la melodia, fino al quasi AOR di “Dangerous charm” del 1987, per poi spostarsi gradualmente verso i territori del power metal tedesco a cavallo fra gli anni 90 e primi 2000, giungendo al capolavoro “End of sanctuary”. Negli anni seguenti l’orientamento si sposta gradualmente su un kraut rock più orecchiabile, tra Bonfire ed Accept, fino a giungere ai giorni nostri ed alla sbandata di Matt per il Messico che, fortunatamente, si limita all’iconografia delle copertine ed alla tequila. La musica è un gradevole hard/metal senza troppi fronzoli, utilissimo per passare un’ora a battere il piedino e scuotere il testone.

Giù l’acceleratore ed è subito “Bulletproof”, power metal melodico ma non troppo, dotato di classiche armonizzazioni maideniane. Si bissa col riffone dell’anthem “We came to rock”, per mettere in chiaro quale sia l’obiettivo primario della band. Lo strepitoso lavoro delle chitarre del duo Naumann/Schlopp da vita al class metal dokkenesque di “Reach out”, mentre la title track è il pezzo più catchy e degno di comparire su MR.it: il vocione consunto dalle tante primavere di Matt diventa un poco più melodioso e riporta in auge l’epoca di “Dangerous charme”. Canzone che deve molto all’altro gruppo di Sinner, i Primal Fear, “Refuse to surrender” è il classico mid tempo spaccaossa che a me porta addirittura alla mente il black album degli Innominabili. “The last generation” comincia e finisce con un oscuro arpeggio e, a dispetto dei suoi 7 minuti e 25 secondi, non annoia mai. Anzi, vi direi che è proprio la mia preferita! Di nuovo gas a manetta con “Gravity” solo minimamente ingentilita dai cori dall’ospite Giorgia Colleluori. E il piede destro resta giù anche per tutta “The man they couldn’t hang” senza troppe concessioni alla melodia. Il lavoro dell’instancabile drummer Markus Kullmann è fondamentale nella costruzione del wall of sound sulla power “The rocker rides away” nel supporto alle chitarre su “My scars”. Chiude degnamente il lavoro la malinconica semiballad “40 days 40 nights”, più Thin Lizzy che mai.

Come detto in precedenza, pur non essendo una pietra miliare, quest’album vi servirà per un sano esercizio di headbanging che male non fa mai. In più i ragazzoni non sono nati ieri e sanno maltrattare come si deve i loro strumenti. Bravo Matt! Adesso ti aspetto al varco con Ralph ed i Primal Fear! Stay hard!

Ndr: se la copertina vi ricorda qualcosa è perché è praticamente identica a quella dei Vanexa, solo allo specchio.

© 2022, Vittorio Mortara. All rights reserved.

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