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Recensione Classico

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Classico

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Scorpions – Love At First Sting – Classico

02 Agosto 2022 0 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 1984
etichetta: Harvest
ristampe:

Tracklist:


    Bad Boys Running Wild 3:53
    Rock You Like A Hurricane 4:10
    I'm Leaving You 4:13
    Coming Home 4:58
    The Same Thrill 3:30
    Big City Nights 4:02
    As Soon As The Good Times Roll 5:02
    Crossfire 4:33
    Still Loving You 6:27


Formazione:

Klaus Meine - Lead Vocals, Backing Vocals
Rudolph Schenker - Rhythm guitars, Lead guitar on "Big city nights", "Crossfire", "Still loving you", Backing Vocals
Matthias Jabs - Lead guitars
Francis Bucholz - Bass, Moog Taurus
Hermann Rarebell - Drums

 

Parlare di questo disco, per me, è molto difficile senza evitare banalità tipo “capolavoro”, “album fondamentale” e altre frasi ormai trite e ritrite, chiunque mastichi un pò la musica rock conosce gli Scorpions e l’importanza del nono album della band tedesca, che stava facendo l’ennesimo cambio di pelle, dopo aver esplorato l’hard settantiano con tanti riferimenti progressive e psichedelici nella prima parte di carriera, essersi buttati a capofitto nella nwobhm e quindi aver raggiunto uno status di band mondiale con un’approccio più easy, ma non per questo scontato. Paradossalmente “Love at first sting” è un album di transizione, assieme al successivo e un pò (tanto) meno ispirato “Savage Amusement”, durante l’album si alternano pezzi più catchy come la doppietta iniziale “Bad boys running wild” e “Rock you like a hurricane” e l’inno “Big city nights” con testi esplicitamente rivolti a sesso e vita “spericolata”, a canzoni più dirette e in your face tipicamente metalliche come “Coming home” e “The same thrill”, che parlano di rock’n’roll lifestyle, ad altre meno convenzionali come “As soon as the good times roll” più umorale e “Crossfire”dal mood oscuro, finalmente con testi un pò meno infantili (l’unica vera pecca del disco), mentre la chiusura è affidata al classico lentone, quella “Still loving you” che conoscono anche i sassi, gemma pseudometallica, quella progressione finale è tipica, oltre che da antologia, condotto da parole che ogni ragazza vorrebbe sentirsi dire da un uomo, non ho ancora parlato di “I’m leaving you”, terzo pezzo in scaletta e perché direte, semplicemente perché la ritengo più di un gradino al di sotto di tutto il resto dell’album, hard rock scontatuccio, dal testo ancora più banale e dall’andamento ridondante e non riesco a capire come potesse essere stato scelto come singolo e difatti non ottenne il successo degli altri quattro (!) singoli estratti.

Rispetto al precedente, durissimo, “Blackout”, la produzione, seppur affidata ancora a Dieter Dierks strizza l’occhio alle cose che iniziavano a diventare più bombastiche dall’altra parte dell’oceano, questa cosa unita al battage video che fece l’allora tostissima MTV, che fece girare in loop i video di “Bad boys running wild”, “Rock you like a hurricane”, “Big city nights” e “Still loving you”, consegnò il successo definitivo agli Scorpions, successo poi proseguito con i due album successivi, ma questo è un altro discorso. Anche l’accattivante copertina concepita da Kochlowski/Missmahl/Pieczulski, una società di progettazione grafica, ha contribuito alla fama del disco, lo scatto di Helmut Newton, famoso per il suo stile erotico, eseguito in bianco e nero a dare più fascino all’immagine del rocker tatuatore che bacia una ragazza mentre le fa un tatuaggio, è diventato una delle figure più iconiche di tutto il mondo della musica rock, ma ha anche creato qualche problema nell’America bigotta del PMRC, il che ha costretto l’entourage della band a pubblicare l’album negli U.S.A. con la foto dei cinque Scorpions che camminano vestiti di pelle, la stessa dll’inner sleeve del vinile originale, ma io credo proprio che questo “contrattempo” non abbia fatto altro che aumentare l’interesse per l’album e che non abbia assolutamente danneggiato le vendite, anzi, dato che “Love at first sting” è stato certificato per due volte album di platino! Inoltre, c’è una diatriba che non è ancora stata risolta e penso che non si chiarirà mai, sembra che Francis Bucholz e Hermann Rarebell non parteciparono all’incisione dell’album a causa di problemi con sostanze non proprio salutari, ma che le parti di basso e batteria vennero registrate da Jimmy Bain e Bobby Rondinelli, cosa che non fu smentita, ma Francis Bucholz tenne a precisare che le fasi strumentali vennero poi riregistrate dai due musicisti originali accreditati nelle note di copertina. Altra curiosità, l’album è stato il primo ad essere registrato e masterizzato interamente con tecniche digitali a 32 tracce e questo si sente particolarmente quando si ascolta la versione in cd, rispetto, ad esempio, al precedente “Blackout”, certe sfumature di chitarra, certe sovrapposizioni della voce agli strumenti e, naturalmente un suono più pulito, sono lì a dimostrarlo, soprattutto nella rimasterizzazione del 2012 su cd 24K+. Inutile dire che la band gira a mille, che Klaus Meine canta divinamente, dimostrando di aver completamente superato i problemi che quasi gli impedirono di registrare “Blackout”, che Rudolf Schenker è ispiratissimo sia come songwriter a livello musicale e si diletta con la solista in ben tre pezzi, anche se il funambolico Matthias Jabs fa cose enormi in tutto l’album, degli altri due, se sono loro, ho già parlato e comunque la sezione ritmica è una bomba e sintomatica è “Coming home”, un vero e proprio uragano metallico, dove basso e batteria fanno un lavoro mostruoso.

Sì, è inutile dirlo, ma oramai l’ho detto, come dico che chiunque e sottolineo CHIUNQUE non abbia ancora questa gemma nella propria discografia, verrà visitato nottetempo dal sottoscritto in versione Terminator e fustigato in ginocchio sui ceci!

 

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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