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25 Luglio 2022 Comment Giorgio Barbieri
genere: Prog metal
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Tracklist:
1 - Democide
2 -Technocracy
3 - Stigmata
4 - Memento Mori
5 - Agenda 21
6 - Patient Zero
Formazione:
Erik Rosvold - Vocals
Jasun Tipton - Guitars and Keyboards
Andreas Blomqvist- Bass
Roel van Helden - Drums
Ammetto di aver solo sentito parlare degli Zero Hour ai tempi e di non averli mai ascoltati, così mi rifaccio adesso che la band è ritornata in pista e ha pubblicato il settimo album, “Agenda 21” che è il frutto della riunione del chitarrista originale Jasun Tipton (con un cognome così, non poteva fare altro!) con il cantante originale Erik Rosvold e ai quali si sono affiancato Andreas Blomqvist, bassista di lunga data dei Seventh Wonder, che è andato a sostituire il fratello gemello di Jasun, ossia Troy, vittima di un incidente ad un braccio che gli ha impedito di continuare a suonare, almeno temporaneamente dato che i due fratelli hanno poi formato i Cynthesis e gli Abnormal Thought Patterns, resta il fatto che Troy non fa parte di questa reunion, così come il batterista Mike Guy, qui sostituito da Roel Van Helden dei Powerwolf.
Cosa si può dire di “Agenda 21” che non sia già stato detto, dato che l’album è uscito a Marzo 2022, ma io ne riesco a parlare solo adesso per via di un infortunio capitatomi? Beh, semplice, qui non si fa la solita recensione track by track, non si dice per l’ennesima volta che i componenti degli Zero Hour sono tecnicamente fenomenali, non si tessono le lodi per la complessità delle composizioni, perché sono cose, appunto, già dette, cose che quando si tratta un genere come il progressive metal, sono praticamente lapalissiane, qui si può parlare invece di quanto “Agenda 21” possa aggiungere di nuovo in un genere oramai ampiamente sviscerato e molto inflazionato, e la risposta è né molto, né poco, ma paradossalmente è molto buono e mi spiego; i momenti più ‘accessibili’ come la gemma “Memento Mori” e la title track portano una ventata di aria fresca proprio dove la linearità è la caratteristica più importante, privilegiando la forma canzone e nel caso di “Memento Mori”, che canzone! Anche “Technocracy”, seppur in forma diversa, fa parte di questa tendenza, se non altro per un lavoro di chitarra molto cesellato e l’interpretazione di Erik Rosvold che sfiora il pathos di Warrel Dane, ma sono proprio le parti vocali a lasciare un dubbio, a volte sembrano slegate, quasi come se stessero interpretando qualcosa che non riguarda l’andamento musicale e “Stigmata” è emblematica in questo senso, molti umori diversi si susseguono a proporre sicuramente qualcosa di più evoluto, ma la voce non riesce ad unirli e stessa cosa succede nella conclusiva “Patient Zero” (oltremodo attuale!), accompagnata ad un senso di ridondanza acuito dai dieci minuti di durata.
In conclusione, c’è qualcosa che può attirare chi ascolta il prog metal come lo si concepisce adesso? Ma certo, a cominciare dagli oltre quattordici minuti di “Democide”, un bel bigino di ultimi Dream Theater e SymphonyX. E’ sufficiente? Solo questo brano, no, di sicuro, ripeto, sono gli umori a farla da padrone e tutto sommato riescono a sollevare le sorti di un album che, altrimenti sarebbe finito nel calderone ribollente di tecnica fine a sè stessa e reiterati cambi di tempo. Per cui, ben vengano delicatessen come la già stracitata “Memento Mori”, i passaggi musicali a-la Conception, quelli vocali a-la Kamelot, tanto per rimanere in tema Roy Khan, le atmosfere di qualcosa tra i Riverside e i Fates Warning, questi sono i punti vincenti di “Agenda 21” e come sono stati assemblati a formare finalmente qualcosa che dia un senso di soddisfazione al termine dell’ascolto dell’album.
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