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Cruzados – She’s Automatic – Recensione

12 Febbraio 2022 Comment Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Deko

Tracklist:

On The Tilt A Whilr, Across This Ghost Town, Nine Million Tears, She's Automatic, Son Of The Blues, Sad Sadie, Long Black Car, Let Me Down, Wing And A Prayer, 54 Knockouts, Rock The Boat.

Formazione:

Ron Young: Vocals
Tony Marsico: Bass, Songwriting
Loren Molinare: Guitars
Mark Tremalgia: Guitars
Rob Klonel: Drums

Ospiti:

John Doe (X)
Dave Alvin (The Blasters)
David Hildago and Steve Berlin (Los Lobos)
Gia Ciambotti (Bruce Springsteen)
Melanie Vammen (The Muffs,The Pandoras)
Greg Kuehn (TSOL)
Jimmy Z (Rod Stewart)
Buck Johnson (Aerosmith)

 

La storia dei Cruzados risale a quasi quarant’anni fa, quando la band capitanata dal bassista e principale compositore Tony Marsico cominciò a muovere i primi passi dalle ceneri del gruppo punk The Plugtz, con lui c’erano anche il cantante e chitarrista Tito Larriva e il batterista Chalo Quintana, che presero parte alla prima parte di carriera dei Cruzados, assieme dapprima al chitarrista Steven Hufsteter e poi a Marshall Rohner, che si divisero il compito della lead guitar negli album “Cruzados” del 1985 e “After Dark” del 1987, usciti per la Arista, dopo un discreto successo e la partecipazione alla colonna sonora di “Il duro del Roadhouse” del 1989 con Patrick Swayze, la band inaspettatamente si sciolse e i componenti si divisero in diversi progetti quali Tito e Tarantula per Larriva, Social Distortion per Quintana e T.SO.L. per Rohner, mentre Marsico e Hufsteter fecero una più che buona carriera come session men, ma non sto qui a tediarvi con informazioni che potreste trovare anche su Wikipedia ed arriviamo ai giorni nostri quando Tony Marsico decide di resuscitare il cadavere ormai freddo dei Cruzados, trasformandolo in uno zombie 2.0 che ha mestiere, ma poca anima. Larriva non fa parte di questa riunione, come anche Hufsteter, lasciando presagire che i rapporti non fossero proprio idilliaci con il main man della band, mentre Rohner e Quintana, ai quali è dedicato l’album, non sono più in questa valle di lacrime. “She’s automatic!” si propone bene, a proposito molto centrata la copertina, la formazione che lo suona è di prim’ordine con Ron Young e Loren Molinare, rispettivamente voce e chitarra dei Little Caesar, Mark Tremalgia chitarrista che ha suonato anche con i Bang Tango e Rob Klonel, batterista che ha collaborato anche con Vanessa Paradis (!), ma non è tutto oro quello che luccica e se la traccia è quella dei due album precedenti incentrati su un buon hard blues, non è altrettanto valida l’attitudine con la quale vengono scritti ed eseguiti certi pezzi, insomma, il blues sa di sporco, di palude, di whisky torcibudella e di locali fumosi dove si radunano pericolosi reietti e facili ragazze, qui è un pò tutto troppo perfettino, pulito, ordinato e dispiace perchè molti pezzi centrano il segno, ad esempio “Long black car” che già dalla tematica,  trasporta nei paesaggi texani con i teschi bovini sparsi qua e là, bellissimo e coinvolgente hard blues, l’highlight del disco o “Let me down” e qui sembra di sentire Tyla con i suoi Dogs D’Amour, tanto si muove il piedino su un ritmo irresistibile o anche la title track, dove finalmente si alza un pò il voltaggio e si rivede la grinta di Ron Young, con la slide guitar che fa la parte del leone e seppur anche gli altri brani viaggiano abbastanza spediti, esclusa l’opener “On a Tilt a whirl”, un rock quasi sessantiano debole, non certo il miglior inizio, si ha l’impressione che non ci sia il colpo gobbo, il pezzone quali erano “Motorcycle girl” o “Bed of lies” e molto, a mio parere, è dovuto anche alla prestazione un po’ sottotono di Ron Young, che tanto bene ci ha abituato nei Little Caesar, quanto male perde il confronto con il suo predecessore Tito Larriva. Questo è quello che ho provato ascoltando e riascoltando “She’s automatic!”, uscito lo scorso 28 Gennaio per Deko Records, credetemi, ho avuto molto tempo per assimilare l’album, ma non riesco a metterlo tra quelli che potrebbero ritornare presto nel mio lettore, non mi sento comunque nè di bocciarlo, nè di sconsigliarlo a chi vive di Cinderella anni novanta per “54 Knockouts”, hard blues retto da un riff quasi dissonante e dalla voce alcoolica di Ron , di Eagles per “Sad Sadie”, che si sposta in territori tanti cari alla band di “Desperado”, col suo flavour westcoast acustico, di Lynyrd Skynyrd, grazie a “Across this ghost town”, blues semiacustico che sa tanto di Van Zant e soci e non solo per i cori femminili, di Doors, quando si arriva alla chiusura con ” Rock that boat”,  altro rock blues pieno d’atmosfera dominato dalle svisate di armonica, quasi una versione hard di Manzarek e compagnia lisergica, il giro ritmico è lo stesso di “Roadhouse blues” o addirittura di Stray Cats, ascoltatevi “Wing and a prayer”, un rockabilly elettrificato se si può usare questa definizione, ma non aspettatevi un tornado di energia ed è un peccato…

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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