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Recensione

85/100

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Sergeant Steel – Truck Tales – Recensione

21 Dicembre 2021 Comment Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2021
etichetta: Metalpolis

Tracklist:



      1. Fight Fire With Fire
      2. Backseat Lover
      3. Dance Into The Light
      4. Brotherhood
      5. Voodoo Queen
      6. Body Language
      7. Pain In My Ass
      8. Hunter
      9. The Time Will Come
      10. Nightmare






Formazione:

Phil Vanderkill - Lead vocals
Jack Power - Guitars, backing vocals; additional lead vocals, keyboards,
percussion, sitar, programming
Chuck Boom - Guitars, backing vocals; additional lead vocals, violin
Ben Bateman - Keyboards
Ronny Roxx - Bass
Cosy Coxx – Drums

Contatti:

https://www.sergeant-steel.com

Facebook: https://www.facebook.com/sergeantsteelonline

 

Ultima chicca da recuperare del 2021: a maggio è uscito il quinto album di studio dei Sergeant Steel, la band austriaca più importante di questo periodo, che propone un sanissimo e conturbante hard rock.

Insolita partenza con la turbolenta “Fight Fire With Fire”, dall’intro immersiva e dalla ritmica quadrata, che da subito delinea le linee generali dello stile della band, ovvero voce graffiante e parte strumentale molto compatta. Si passa alla successiva “Backseat Lover”, dalla trama molto funky, un ottimo esempio di come si possano mischiare generi e influenze diverse per ottenere un grande prodotto finale. Con “Dance Into The Light” viaggiamo su orizzonti più rock’n’roll, con un groove molto tradizionale e canonico, che comunque riesce a spingere al punto giusto e a rendere l’ascolto molto gradevole nel complesso. Arriviamo alla lente e introspettiva “Brotherhood”, brano dolce e dall’accentuatissima carica emotiva, corale, che dimostra ancora una volta la grande varietà espressiva dei Sergeant Steel. “Voodoo Queen” riaccende la miccia, sprigionando una potenza esecutiva devastante, con il suo tappeto ritmico martellante e il ritornello che immediatamente rimane impresso nella mente dell’ascoltatore. Strizziamo l’occhio agli anni ’80 con “Body Language”, pezzone hard rock tosto e diretto, per un palato nostalgico, che comunque, grazie ai suoi stacchi, risulta gradevole e divertente. Giungiamo alle atmosfere misteriose e oscure dell’ironica “Pain In My Ass”, gradevole intramezzo che leggero e malizioso si riversa nella successiva “Hunter”, decisamente più aggressiva, dalla dinamica improbabile e dalle cadenze ben definite. “The Time Will Come” disorienta inizialmente, per poi rapire dolcemente l’attenzione dell’ascoltatore, una ballata suadente e riuscita in ogni sua sfaccettature. Arriviamo a “Nightmare”, brano classico per forma e resa, una conclusione degna di un lavoro di ottima fattura, perfettamente aderente al genere e alla band, che non può far altro che confermare le sensazioni positive sull’operato di questa interessantissima compagine austriaca, pronta e matura per proseguire fieramente la propria carriera.

© 2021, Alberto Rozza. All rights reserved.

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