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La corsa al volume (AKA Loudness War)

La corsa al volume (AKA Loudness War)

05 Marzo 2021 59 Commenti Samuele Mannini

                   

Come mai se prendiamo una edizione remasterizzata stampata recentemente di un vecchio classico ci sembra che suoni più potente? E perché negli anni passati (fino all’inizio anni 90)  bisognava alzare il volume a manetta per ascoltare un cd e quelli moderni fanno un casino infernale anche suonati su un tostapane? Suonano davvero meglio o siamo vittime di un inganno? Vediamo di svelare l’arcano con parole semplici e con dati oggettivi che non lascino dubbi di interpretazione.

Partiamo intanto dallo strumento atto ad usufruire del messaggio musicale, ovvero il sistema orecchio cervello. Esiste una scienza che studia il comportamento del nostro apparato uditivo e di come reagisca alle stimolazioni sonore ed è la Psicoacustica. Secondo gli studi fatti, il cervello percepisce come di qualità superiore i segnali audio più potenti perché sono più facilmente elaborabili e richiedono meno “potenza di calcolo” per essere interpretati, inoltre la risposta fisiologica dell’ orecchio umano è tutt’altro che lineare ed è più sensibile nel range di frequenze compreso tra gli 800 ed i 4000 Hz, ovvero dove è concentrata la frequenza vocale.

Fig.1

Da quando la musica è passata nel dominio digitale (grazie all’introduzione del cd) e dopo il ridimensionamento del vinile (che richiede tecniche di masterizzazione ed incisione molto particolari), è cominciata una vera e propria escalation atta a far suonare sempre più forte la musica, complici le straordinarie possibilità fornite dal cd (più di 90 db di potenziale dinamica, contro i circa 50 db del vinile), offrendo inoltre la possibilità di manipolazione del segnale digitale tramite computer sempre più potenti e software semplici da usare e relativamente economici. Capito dunque che era facile fare suonare più forte una registrazione e che ciò era percepito come qualitativamente migliore, c’è stata una vera e propria corsa per ottenere un volume  sempre più alto da parte delle case discografiche che volevano far sembrare i propri prodotti migliori della concorrenza, eccoci dunque all’inizio di quella che verrà conosciuta come Loudness War. Come in ogni guerra ci sono state però delle vittime, in questo caso la vittima è stata la dinamica. Si, ma che cosa è la dinamica? Bene, la dinamica è la differenza tra i segnali audio più basso e più alto incisi in una registrazione e viene misurata in decibel o db ( da non confondersi con i db Spl che misurano la pressione sonora). Il decibel è un numero puro ed è espresso in scala logaritmica , ergo al crescere del valore la crescita è esponenziale, ad ogni 3 db di differenza corrisponde circa un raddoppio della intensità.

Vediamo dunque come funziona a grandi linee la compressione della dinamica a favore di un più alto volume di erogazione, cominciando da come viene identificato il volume massimo nel dominio digitale. Nella riproduzione l’unico limite per il volume è quello dettato dall’amplificatore e dalle casse che riproducono il supporto, ma nella fase di registrazione il limite fisico è quello dello 0 db, pensate di continuare a versare acqua in un bicchiere già pieno, il principio è lo stesso , tutto ciò che verrà versato non potrà fare alzare ulteriormente il livello raggiunto. La conseguenza di tutto questo è che per alzare il volume medio, bisognerà portare i segnali a più basso livello ad un livello superiore, con la conseguenza di comprimere le originali differenti intensità di segnale, arrivando nei casi estremi a fare suonare un sospiro quanto una doppia cassa di batteria.

Fig.2

Fig.3 

Fig.4 

Quello che si vede in figura 2, è una parte di un brano con una buona dinamica. Si notano infatti parti più basse e picchi di volume in corrispondenza dei colpi della batteria. In figura 3 ecco come risulta quando il segnale viene compresso, volume di uscita medio enormemente più alto , ma praticamente uniforme in tutto lo spettro sonoro ed i picchi di volume sono così scomparsi. In figura 4 le parti in rosso sono le informazioni che sono andate perdute durante il processo. Risultato? impastamento ed appiattimento della risposta, la batteria ha perso il suo punch ed è tutto è più confuso e sparato a mille, ora , se nelle moderne produzioni la batteria sembra un fustino di Dash picchiato con un legnetto, sapete qual’è una delle cause. Torniamo a dare una occhiata alla figura 4 , le parti rosse sono quelle, che dopo la compressione , superano il volume massimo consentito dalla registrazione ovvero il Clipping. non potendo infatti superare il massimo volume, il segnale viene letteralmente potato, e la forma d’onda tagliata al suo massimo limite consentito, tutto ciò risulta in una serie di fastidiosi clic in corrispondenza dei suddetti picchi, inutile dire che dopo questo processo la perdita di informazioni è irreversibile. Parentesi doverosa sul clipping, il fenomeno tende ad essere più evidente nelle edizioni rimasterizzate che non nelle nuove produzioni, perché trovandosi a manipolare un master già edito, esistono delle limitazioni imposte dalla produzione originale che per essere superate vanno per forza ad intervenire sui segnali più alti per omogeneizzare il volume medio, nelle nuove produzioni invece si va ad agire su un prodotto che viene limitato già in fase di registrazione e pre produzione incorrendo meno nel pericolo del clipping in quanto il segnale a volume più alto è fissato a priori.

Il punto più cruento di questa guerra è stato probabilmente raggiunto con Death Magnetic dei Metallica, uno dei dischi con la dinamica più bassa in assoluto e con clipping in serie sterminata, tanto che molti fans si sono accorti della differenza con il brano usato per il gioco Guitar Hero, molto meno compresso e con più dinamica preferendolo di gran lunga, infatti in seguito il disco è stato ripubblicato in una sua versione meno spinta. Insomma per apprezzare il forte è necessario il piano ed il contrasto tra i vari strumenti deve assolutamente risaltare in una registrazione di qualità. Fortunatamente certe estremizzazioni sono meno presenti dopo alcuni casi emblematici come quello citato sopra, ma la differenza di dinamica media tra un disco di meta anni 80 e gli attuali si attesta sempre sui 4/5 db , ricordando che il decibel è in scala logaritmica è comunque un valore di un certo rilevo.

Esistono numerosi programmi in grado di analizzare la compressione dinamica di un singolo brano o di un disco, il più semplice è probabilmente TT-Dr Offline Meter  che fornisce il valore medio della gamma dinamica e segnala l’eventuale presenza di clipping, oppure Sonic Visualizer 2.4 che mostra anche il grafico, senz’altro strumenti interessanti per avere una idea di massima su dinamicità e qualità della registrazione. Se trovate l’argomento interessante, segnalo una pagina web dove sono stati analizzati dischi un po’ di tutti i generi (Dynamic Range Data Base) ed anche un gruppo Facebook (Loudness war link), dove vengono analizzate e confrontate le varie edizioni e ristampe del nostro genere preferito.

In sostanza quando si va ad analizzare la qualità di un disco, bisogna certamente verificare tutte le variabili della catena sonora, dalla strumentazione usata per registrare, al supporto (sia esso analogico o digitale e fisico o liquido), fino ad arrivare all’apparato di riproduzione( giradischi, lettore cd, streamer, amplificatore casse, etc..). A prescindere dai gusti personali e le possibilità economiche, poter disporre di musica registrata con qualità quanto più possibile vicina alla realtà, credo sia un requisito fondamentale per formare una cultura dell’ascolto che preservi, almeno nel caso delle registrazioni rimasterizzate, lo spirito ed il lavoro di chi dette vita all’opera in origine.

Molti altri discorsi si potrebbero fare sia sui supporti, sia sulle tecniche di registrazione adottate per i vari formati della distribuzione musicale e magari li affronteremo in un’altra sede, ma esprimendo un parere personale, la musica è una cosa troppo importante e bella per negarle la sua giusta dimensione qualitativa.

 

 

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