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Recensione

83/100

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Autum’s Child – Angel’s Gate – recensione

10 Marzo 2021 12 Commenti Vittorio Mortara

genere: AOR
anno: 2020
etichetta: AOR Heaven

Tracklist:

1 Where Angels Cry 5:15
2 Aquarius Sky 5:10
3 Don't Say That It's Love 5:16
4 A Tear From The Sky 5:08
5 Love Is Not An Enemy 5:20
6 The Dream Of America 4:24
7 Straight Between The Eyes 3:59
8 Don't Ever Leave Me 4:11
9 A Piece Of Work 4:00
10 Only Love Can Save The World 3:57
11 Your Words 5:43
12 Back To The Other Side (Bonus Track) 3:54

Formazione:

Mikael Erlandsson – Voce e tastiere
Robban Bäck – Batteria
Johan Strömberg – Basso
Pontus Åkesson – Chitarre
Jona Tee – Piano in “Aquarius sky”
Claes Andreasson – Piano in “Don’t ever leave me”

 

Se dovessi cominciare questa recensione con una disamina dettagliata dell’intera produzione discografica di Mikael Erlandsson, leader di questi Autumn’s Child, ne avrei probabilmente per un paio di pagine. Quindi mi limito a due nomi su tutti: Last Autumn’s Dream e Lover Under cover. Due gruppi non molto diversi nello stile proposto, cioè un AOR dalle forti tinte nordeuropee, con melodie vocali sempre pregevoli ed una “penna” ispirata nella composizione dei pezzi, vantanti spesso la collaborazione di ospiti illustri come Marcel Jacob dei Talisman e Jamie Borger dei Treat.
All’inizio dei 2000 si cominciava ad uscire da quello che il collega Leonardo Mezzetti ha recentemente definito “Il medioevo dell’AOR”. E il primo disco dei Last Autumn’s Dream fu il classico fulmine a ciel sereno! Un album pressoché perfetto che riconciliava noi, amanti del genere, con il mondo. Belle canzoni, una voce dolce ma con un fondo sabbioso, musicisti di prim’ordine, produzione degna… insomma, tutto quello che il decennio precedente non aveva saputo offrirci. Poi, con cadenza quasi annuale, anche se con formazioni rimaneggiate, i LAD hanno sfornato altri 13 albums. Nessuno di questi ha mai raggiunto le vette stabilite dal capostipite. Tuttavia le loro uscite sono sempre state, per il sottoscritto, una garanzia: un’ora da passare con belle canzoni, una bella voce e musicisti all’altezza. Quello che si può rimproverare alla band è forse un certo immobilismo stilistico. Una mancanza di elementi innovativi che possano far ricordare un album piuttosto che un altro. Anche con i Lover Under Cover, band fondata con Mikael Carlsson e Martin Kronlund dei Dogface, la musica non cambia moltissimo, salvo un leggero spostamento verso il versante più hard del genere. Il valore intrinseco resta comunque alto. Così come nei due lavori a nome Autumn’s Child: il precedente omonimo platter del 2019 e questo “Angel’s Gate”.
Ad accompagnare Mikael troviamo musicisti scandinavi di ottimo livello, tra i quali spicca il chitarrista dei Moon Safari, Pontus Akesson, in tutti i brani. Più le “comparsate” di Jona Tee degli H.E.A.T. e del vecchio tastierista dei LAD, Claes Andreasson.

Andiamo con i brani. L’apertura è ottima: “Where angels cry” mi ha ricordato non poco i Glory dell’omonimo debutto, con le sue scale neoclassiche di chitarra e gli intermezzi pianistici. Molto efficace il ritornello. Prosegue sulla stessa falsariga “Aquarius sky”, con quel tocco epico che porta alla mente i teutonici Axxis. Territori più commerciali vengono invece percorsi da “Don’t say that it’s love”, bellissima con i quei licks di chitarra e quelle tastiere che culminano in un chorus estremamente orecchiabile. In grandissimo spolvero la voce di Mikael, il cui tono dona maggior forza all’interpretazione. Prima ballad del disco, “Tear from the sky” mette in luce tutta l’esperienza di Erlandsson nell’uso delle sfumature della propria vocalità. Ne viene fuori un pezzo che, ancora una volta, mostra l’inclinazione all’epicità piuttosto che al romanticismo. Più Ten che Foreigner, insomma. Il riff più sguaiato del disco apre “Love is not an enemy”, canzoncina un po’ anonima che accosterei ai pezzi meno riusciti degli MSG del periodo McAuley. “The dream of America” potrebbe essere considerata un curioso ibrido Queen/Asia/Boston e, per quanto possa sembrare strano, si tratta di un brano abbastanza riuscito. Si prosegue con un up tempo classy come “Straight between the eyes”, forse non il genere più adatto ai nostri. Ma devo dire che il piedino e l’air guitar partono da soli! E poi tocca al secondo lento “Don’t ever leave me”, stavolta sul versante romantico del genere, dove la voce di Erladsson si fa più struggente e l’assolo di chitarra sembra preso pari pari dal repertorio di Gary Moore. Così come sembra presa pari pari da un disco dei Cheap Trick la seguente “A piece of work”, con Mikael che scimmiotta perfettamente le tonalità del grande Robin Zander. E’ ancora una volta la sapiente ugola del frontman a caratterizzare la cadenzata “Only love can save the world”, canzone che puzza di stelle e strisce lontano un chilometro, con una spolverata dello stile dei Queen qua e la. Mi è piaciuta molto! E la melodrammaticità della Regina riaffiora anche in “Your words”, brano che, vi parrà strano, mi ha portato alla mente la splendida “A tale that wasn’t right” dei mitici Helloween! La versione europea del disco finisce qui, mentre quella giapponese dell’album presenta una bonus track: “Back to the other side”, quasi una outtake da “Back for the attack” dei Dokken con un riff di chitarra di quelli che George Lynch non sembra più capace di partorire.

Se, dopo lo scoppiettante debutto dei Last Autumn’s Dream, nessun disco made in Erlandsson ha mai più dato segni di originalità o evoluzione (e questo “Angel’s gate” non fa eccezione), è altresì vero che nessuno dei 20 dischi firmati dal vocalist ha mai peccato di qualità compositiva, né di quella esecutiva. L’album è bello, ben suonato, omogeneo e vario. Un paio di canzoni valgono assolutamente la pena. E poi, almeno dal punto di vista di chi vi parla, non è che nel 2020 siano usciti tutti sti dischi fantastici… personalmente avrei voluto che gli H.E.A.T. avessero pubblicato un disco fotocopia di “Into the great unknown” piuttosto che quel mappazzone di “H.E.A.T. II”. Stesso discorso per gli Eclipse con l’ultimo lavoro. E potrei andare avanti con altri grossi nomi…
A me l’album è piaciuto, esattamente come mi sono piaciuti praticamente tutti i dischi dei LAD, il precedente LP e i due dei Lover Under Cover. Bravo Mikael e viva la monotonia. A patto che sia di qualità!

© 2021, Vittorio Mortara. All rights reserved.

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