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06 Gennaio 2021 48 Commenti Leonardo "Lovechaser" Mezzetti
Esiste una linea di demarcazione nella storia dell’aor. Una linea netta che segnò il passaggio dalla luce all’oscurità, dalla gloria al mondo dell’underground, da immensi stadi straripanti di folla a scarni concerti dedicati a pochi, malinconici superstiti. Ebbene, questa linea di demarcazione va collocata nel 1993.
Da quell’anno, infatti, le grandi major, sedotte dal fascino effimero del grunge, abbandonarono l’AOR, decretandolo come un genere ormai passato in disuso. I testi anarco-nichilisti dei Nirvana stavano soppiantando i gloriosi Eighies, riuscendo solo a solleticare un disagio giovanile tipico di quegli anni, più che a porgli un rimedio. La gioia e il divertimento degli anni Ottanta avevano smesso di essere alla moda. Ormai, per essere cool, era necessario mostrare rabbia e indolenza.
Accadde, quindi, che numerose gemme di aor, già pronte alla pubblicazione, vennero condannate all’oblio. Iniziò un periodo estremamente buio per l’AOR. Molti grandi gruppi si sciolsero, molti altri cambiarono genere, cercando di cavalcare i tempi, non trovando quasi mai il successo, altri ancora continuarono imperterriti con l’AOR, e a questi rivolgo e rivolgerò sempre un commosso ringraziamento.
Iniziamo allora il viaggio nel decennio oscuro dell’AOR: gli anni Novanta.
Ebbene, gli album pubblicati fino al 1992 furono di livello eccelso, come se avessero potuto godere della magica onda lunga degli anni Ottanta.
1990
Nel 1990 la tempesta sembrava ancora lontana.
Uscirono bellissimi dischi. Innanzitutto gli Scorpions con Crazy World, probabilmente il loro disco più bello, poi i Dominoe con The Key, i Firehouse, gli House of Lords con il solenne Sahara, i canadesi Boulevard con le sognanti atmosfere di Into the Street, gli svedesi Talisman, gli Zinatra con The Great Escape (e le tastiere di Robby Valentine), i bonjoviani cori dei Baton Rouge con Shake Your Soul, Tim Feehan con Full Contact e il disco solista di Don Dokken, Up from the Ashes, perfino i Ratt pubblicarono il loro lavoro più melodico con Detonator.
Canzoni dell’anno:
Take it to the Top degli Zinatra, Sahara degli House of Lords, Walks like a Woman dei Baton Rouge, Lonely Nights dei Dominoe, Lead Me On dei Boulevard, Givin Yourself Away dei Ratt
1991
Il 1991 fu in assoluto l’anno migliore per l’aor degli anni Novanta. Si respiravano ancora gli anni Ottanta, ed uscirono dischi di rara bellezza.
Gli Europe uscirono con il loro ultimo VERO album, Prisoners in Paradise, i miei amati Danger Danger spararono Screw It, i Bad English ci deliziarono con Backlash. Capite con solo questi tre album a che livello eccelso di AOR eravamo ancora nel 1991. Inoltre, ci furono i debutti dei Casanova, degli Heartland, degli Harem Scarem, che non raggiunsero più questi picchi, dei The Storm e dei Tyketto, uscirono inoltre gli Shadow King con il loro unico disco, Bryan Adams con il leppardiano Waking up the Neighbours (e non poteva essere diversamente vista la presenza di John Mutt Lange), il mitico Kane Roberts con Saints and Sinners e Steve Plunkett con My Attitude.
Canzoni dell’anno:
Girl from Lebanon degli Europe, Beat the Bullet dei Danger Danger, Straight to your Heart dei Bad English
1992
L’ultimo anno di luce, che ci lasciò gemme incontrastate di aor. L’album del 1992 fu senza dubbio Adrenalize dei Def Leppard che tornarono dopo cinque anni, dopo la morte di Steve Clark. Forti del loro status di grande band, potevano ancora godere del sostegno delle Major e pubblicarono un album magnifico. Tornarono anche i Bon Jovi con Keep the Faith, un lavoro ottimo, più adulto ma forse privo di un pò di sana arroganza ottantiana. Uscirono anche i Giant con Time to Burn, John Norum con il suo secondo lavoro Face the Truth, il suo migliore in assoluto, i Casanova con One Night Stand, gli House of Lords con Demons Down, e gli FM con Aphrodesiac. Ci furono poi i debutti di Robby Valentine, dei Fair Warning, degli Hardline (da una costola dei Bad English) e degli Unruly Child, con il grandissimo Mark Free ai massimi storici dopo i Signal.
Ma quasi tutti questi dischi furono pubblicati quando ormai l’aor era commercialmente morto, e le tenebre si stavano avvicinando. Ian Haugland degli Europe raccontò che, durante il loro ultimo tour, un giorno in taxi Joey Tempest gli disse: “Quando il tour è finito, noi siamo finiti”. Questa era l’aria che si respirava alla fine del 1992. E così fu.
Canzoni dell’anno:
Stand Up dei Def Leppard, Who Cries Now degli Unruly Child, In These Arms dei Bon Jovi, Angel di Robby Valentine
1993
Il medioevo era iniziato. La tempesta del Grunge stava offuscando le luci dell’aor. Ma ancora qualche barlume di luce riusciva a filtrare. I Def Leppard pubblicarono il bellissimo e nostalgico Retro Active, una raccolta di demo e b-sides degli album precedenti, un’operazione tutto sommato azzeccata. I Danger Danger non ebbero la stessa fortuna. Avevano inciso il bellissimo Cockroach ma l’album non vide la luce. La vide solo nel 2001. Incredibile. Uscirono gli Scorpions con Face the Heat, Jeff Paris con Lucky This Time, Robby Valentine con The Magic Infinity e Mark Free ci regalò una delle Bibbie aor, vale a dire Long Way From Love.
Canzoni dell’anno:
She’s too Tough dei Def Leppard, Alien Nation degli Scorpions, State of Love di Mark Free, Don’t Break my Heart Again dei Danger Danger, Stop Playing with my Heart di Jeff Paris, Only Your Love di Robby Valentine
1994
Buio pesto. La fascia centrale degli anni Novanta fu in assoluto la peggiore. I fan dell’aor vagavano desolati tra le pagine di Metal Shock alla ricerca di qualche vana speranza. I generi in auge erano lontanissimi, e l’aor era sommerso dalla polvere. Nonostante questo, uscirono due grandissimi album: il primo Crown of Thorns dell’istrionico Jean Beauvoir e gli Atlantic con Power. E poi gli Shy con Welcome to the Madhouse, James Christian con Rude Awakening, Clif Magness con Solo e i tedeschi Frontline con State of Rock.
Canzoni dell’anno:
Dying for Love degli Crown of Thorns, Power over Me degli Atlantic, Jenny’s Still in Love di Clif Magness
1995
Il buio continua. Ma un lampo lo rappresentarono gli svedesi Amaze Me. Un lavoro spettacolare che trasudava anni Ottanta. Uscì anche These Days dei Bon Jovi, che naturalmente non erano più quelli di Livin On A Prayer ma confezionarono un album quasi introspettivo pieno di rock ballads spettacolari. Uscirono gli Heartland con Wide Open, i The Storm con Eye of the Storm, i Fair Warning con Rainmaker, e da una loro costola anche Zeno con Zenology, e i bonjoviani Message. Due note negative furono Mark Free, che nel frattempo era diventata Marcie, con l’oscuro Tormented, e il tentativo dei Danger Danger di calcare la strada del grunge con Dawn. Tentativo a dir poco fallimentare.
Canzoni dell’anno:
You Say You Never Cry degli Amaze Me, These Days dei Bon Jovi, Losing to Love degli Heartland
1996
L’album del 1996 fu in assoluto A Little bit of Fire dei Tower City. Rappresenta ancora un piccolo mistero come i Tower City abbiano potuto creare un lavoro di siffatta bellezza in un periodo così oscuro. Tornarono due mostri sacri: i Def Leppard tentarono la carta grunge con Slang, con risultati abbastanza deprimenti, mentre gli Scorpions alleggerirono il colpo con Pure Instinct, risultando abbastanza insipidi. Il 1996 vide anche il debutto dei Ten.
Canzoni dell’anno:
A Little bit of Fire dei Tower City, Stay with Me dei Ten
1997
Nel 1997 i Danger Danger tornarono finalmente all’aor con Four the Hard Way, e uscirono il bellissimo Heroes dei Frontline, band che avrebbe meritato ben altro successo, e il leggendario Million Miles Away dei Passion Street. Il 1997 fu anche il primo anno dove piccole e coraggiosissime case discografiche (come l’italiana Frontiers, la MTM music, la Z Records, la Escape music, la Now&Then) intensificarono la qualità e la mole delle loro pubblicazioni. Questi sforzi trovarono il loro culmine in Go dei Fair Warning, in Dream On degli Amaze Me, nel debutto degli inglesi Newman e nel primo disco solista di Hugo. Dischi che testimoniavano come l’aor, a fatica, stesse risalendo dalle tenebre.
Canzoni dell’anno:
Goin all the Way dei Danger Danger, Desperate Times dei Passion Street, Save me dei Fair Warning, Our Love dei Frontline, That Kind of Girl dei Newman
1998
Il 1998 fu un anno molto abbondante di uscite. L’aor aveva ormai ripreso ad attirare una certa attenzione, anche se ovviamente non poteva più pretendere la ribalta mondiale. I migliori album furono senza dubbio All or Nothing dei Tower City, Metallic Blue degli Steelhouse Lane e Lost Cathedral dei Crown of Thorns. Inoltre uscirono i Change of Heart, dalle ispirazioni White Sister, i bonjoviani Von Groove, i tedeschi Jaded Heart con il loro miglior lavoro Mystery Eyes, i Message con Fine Line, gli Unruly Child con Waiting for the Sun e gli Amaze Me con Wonderland. Degno di nota anche il lavoro dei Garbo Talks, che in realtà era più una riesumazione di pezzi registrati nei primi anni Novanta. Degni di nota anche i Big Bad Wolf che rappresentarono il primo tentativo, dopo i BB Steal, di clonare i cori leppardiani, devo dire con risultati di molto superiori.
Canzoni dell’anno:
This Could be the Night dei Garbo Talks, All or Nothing dei Tower City, Said and Done dei Message, Two Nights in Tokyo dei Von Groove, Janine dei Velocity, Midnight Angel dei Big Bad Wolf
1999
Anche l’ultimo anno di questo oscuro decennio ci regalò in realtà discreti lavori di aor, a dimostrazione del fatto che ormai si stava intravedendo la luce in fondo al tunnel. Primi fra tutti a capirlo furono i Def Leppard che decisero di tornare a quello che sapevano fare meglio. Euphoria è ancora oggi uno dei loro migliori album. Spettacolare Promises. Sicuramente tra i top 5 aor del decennio. Coro da paura. Poi buoni ritorni degli Newman , degli Steelhouse Lane, dei rocciosi Jaded Heart, dei Bonfire con un disco un po’ più dedicato alla melodia, e degli Shy con un album molto anni Ottanta come Let the Hammer Fall, uno dei migliori dell’anno.
Canzoni dell’anno:
Promises dei Def Leppard, The Call degli Newman, Proud of my Country dei Bonfire, Showdown degli Shy
A questo punto il decennio buio stava terminando, e il peggio ormai era alle spalle. Certamente gli anni Ottanta non sarebbero più tornati, quel clima festaiolo e godereccio sulle spiagge di Venice e tra le ville di Malibu si era smarrito per sempre, e l’aor non avrebbe più goduto degli ingenti capitali delle Major.
Ma le tenebre si stavano diradando, e nuove generazioni di stelle aor stavano venendo alla luce. Primi tra tutti gli Eclipse che uscirono già due anni dopo con il loro primo album.
Certamente i gruppi top di adesso, come Heat, Eclipse, Creye, Degreed o Brother Firetribe, dovrebbero ringraziare i gruppi che ho appena citato, per aver mantenuto accesa la fiammella dell’aor, mentre i famelici mostri del grunge gridavano alle porte, durante l’oscuro medioevo degli anni Novanta.
© 2021, Leonardo “Lovechaser” Mezzetti. All rights reserved.
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