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Recensione

59/100

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The Struts – Strange Days – recensione

16 Novembre 2020 12 Commenti Stefano Gottardi

genere: Glam Rock/Rock 'n' Roll
anno: 2020
etichetta: Interscope Records

Tracklist:

1. Strange Days
2. All Dressed Up (With Nowhere To Go)
3. Do You Love Me
4. I Hate How Much I Want You
5. Wild Child
6. Cool
7. Burn It Down
8. Another Hit Of Showmanship
9. Can't Sleep
10. Am I Talking To The Champagne (Or Talking To You)

Formazione:

Luke Spiller - Voce
Addo Slack - Chitarra
Jed Elliott - Basso
Gethin Davies - Batteria

Ospiti:

Robbie Williams - Voce ("Strange Days")
Joe Elliot - Voce ("I Hate How Much I Want You")
Phil Collen - Chitarra ("I Hate How Much I Want You")
Tom Morello - Chitarra ("Wild Child")
Albert Hammond Jr - Chitarra ("Another Hit Of Showmanship")

Contatti:

https://thestruts.com
https://www.facebook.com/thestruts

 

Il terzo disco dei britannici The Struts, Strange Days, è diverso sin dalla copertina, in cui per la prima volta anziché il solo frontman Luke Spiller compare tutta la band. Nella seconda pagina del booklet del CD è direttamente l’istrionico singer a raccontare la genesi di questo lavoro, nato un po’ per caso nel periodo del primo lockdown causato dalla pandemia di Covid-19. È proprio in quei giorni che nasce il suo show virtuale Quarantine Radio, che ospita fra gli altri Robbie Williams. “Stavo girando Quarantine Radio e Robbie mi ha contattato all’improvviso chiedendomi se potevamo parlare – ha raccontato a proposito della nascita della collaborazione – e abbiamo finito per videochiamarci per circa due ore, parlando della vita, della musica, degli UFO e di tutto ciò a cui si può pensare. Gli ho chiesto se gli sarebbe piaciuto lavorare insieme e, quando stavamo facendo l’album, ci ha gentilmente permesso di venire a registrarlo mentre cantava sulla sua veranda”. Spiller poi prosegue affermando a nome del gruppo di essersi sempre sentiti sotto pressione per i primi due lavori, mentre questa volta non avrebbero dovuto nemmeno registrare un full, che invece hanno realizzato liberamente in soli dieci giorni, senza informare né etichetta (che si aspettava un EP), né fan. Questo disco, sostiene, è l’unico in cui i The Struts esprimono veramente appieno il proprio potenziale, ed è senza dubbio il loro migliore. In una recente dichiarazione, inoltre, ha anche affermato che l’ex Take That l’ha fortemente aiutato a combattere le sue dipendenze. Un gesto nobile, non c’è che dire, ma se davvero Spiller ha dato vita a questo album da sobrio, spiace dirlo ma sembra aver perso tutta la sua ispirazione, perché contrariamente a quanto dichiarato in pompa magna nelle pagine del booklet, Strange Days alle nostre orecchie è il disco più deludente del quartetto inglese. A costo di risultare impopolari, poi, continuiamo a pensare sin dal giorno dell’annuncio che l’ospitata di Robbie Williams lasci un po’ il tempo che trovi, sebbene la band non fosse nuova a strizzate d’occhio alla classifica (vedi il featuring di Kesha sul platter precedente). Di fatto, la title track che apre le danze è una canzone debole e spompa, caratteristiche infelici e purtroppo riscontrabili pure in buona parte del resto della tracklist. Anche la lista delle collaborazioni è un grosso punto interrogativo: Joe Elliott e Phil Collen dei Def Leppard, Tom Morello dei Rage Against The Machine e Audioslave, ed Albert Hammond Jr dei The Strokes non sono esattamente i nomi che ricollegheresti a quello di Robbie Williams. Non per fare i sofisticati a tutti i costi, in fondo se i brani sono di livello chi se ne frega degli ospiti, ma il problema è che in questo lavoro sembrano scarseggiare. C’è qualche buono spunto qua e là (le più classicamente The Struts “All Dressed Up”, “I Hate How Much I Want You” e “Can’t Sleep”) ma manca una hit, un pezzo da cantare a squarciagola ai concerti che in passato il combo britannico aveva sempre garantito. Forse il brano più riuscito in questo senso è la cover dei Kiss rivista in chiave Girl di “Do You Love Me”, il che è tutto dire. Spiller parla di libertà mentale ed artistica, ma a Strange Days sembra mancare davvero un filo conduttore e in questo la guida di una mano esperta avrebbe sicuramente giovato (senza nulla togliere a Jon Levine, ma il lavoro di squadra in fase di produzione e songwriting dei precedenti album aveva dato risultati migliori). Siamo nel 2020, in un periodo storico in cui la tecnologia permette a chiunque di registrare un CD in autonomia, ma se esistono ancora dei produttori artistici e delle case discografiche un motivo c’è.

IN CONCLUSIONE

Non ci siamo: Strange Days è mediocre e poco ispirato, con solo qualche idea abbozzata e una serie di ospitate mal assortite che generano un prodotto facilmente trascurabile. La speranza è che la band possa rialzare la testa e tornare presto a partorire gioiellini come Everybody Wants e Young & Dangerous, due lavori che, uniti alle indiscusse abilità live, avevano portato il nome del gruppo sulla bocca di tanti.

© 2020, Stefano Gottardi. All rights reserved.

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