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Recensione

74/100

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Magnum – The Serpent Rings – recensione

06 Luglio 2020 9 Commenti Alberto Rozza

genere: Rock
anno: 2020
etichetta: Steamhammer

Tracklist:

1. Where Are You Eden?
2. You Can't Run Faster Than Bullets
3. Madman Or Messiah
4. The Archway Of Tears
5. Not Forgiven
6. The Serpent Rings
7. House Of Kings
8. The Great Unknown
9. Man
10. The Last One On Earth
11. Crimson On The White Sand

Formazione:

Tony Clarkin – Guitar
Bob Catley – Vocals
Rick Benton – Keyboards
Dennis Ward – Bass
Lee Morris – Drums

Contatti:

Tony Clarkin – Guitar
Bob Catley – Vocals
Rick Benton – Keyboards
Dennis Ward – Bass
Lee Morris – Drums

 

Ascolto estivo di grande impatto (nonostante la sua pubblicazione invernale!): in arrivo il nuovo lavoro dei Magnum, band hard rock britannica, ambiziosa e convinta, capeggiata dal chitarrista e principale compositore Tony Clarkin.
Grande opening riservata a “Where Are You Eden?”, dalle dinamiche interessanti e variegate, dalle sonorità ampie e suadenti, che ci immerge subito nel mondo artistico della band. “You Can’t Run Faster Than Bullets” è verace, crudo, tagliente, parte immediatamente in quarta con uno sprint particolare e decisamente interessante. L’effettistica e le atmosfere soffuse sono i tratti caratteristici di “Madman Or Messiah”, brano controverso e non particolarmente convincente. “The Archway Of Tears” dimostra la grande intensità espressiva e la carica emotiva della band, sempre supportata da una importante ed evidente capacità tecnica individuale, che in questo caso si manifesta in una egregia prova corale, dalle interessanti sfumature strumentali.

L’eccessiva lunghezza dei brani non aiuta la fruibilità degli stessi, come nel caso della canonica e poco originale “Not Forgive”, che comunque non sfigura nella sua complessità. Si arriva quindi alla title track “The Serpent Rings”, dalla struttura titanica, eroica, impegnativa e dalla resa assolutamente azzeccata. Giungiamo intanto a “House Of Kings”, forse il brano più innovativo e variegato del lavoro, dalla trama peculiare, che mischia tratti moderni a sfumature più classiche, in un mix di influenze e generi veramente riuscito. Il lento “The Great Unknow” calma i battiti, ci riporta in un’atmosfera più introspettiva e intima, dimostrandosi una ballad all’altezza della sua categoria; di tutt’altro sapore è “Man”, a tratti eccessivamente poppeggiante, ma dal grande impatto, fatto dovuto soprattutto alla grande varietà sonora e “di gusto” presente nelle diverse sezioni del pezzo. Delicato e piacevole, “The Last One On Earth” rientra anch’esso nella categoria dei brani sentitamente emotivi, che rimarca ancora una volta la presenza globale di un necessario e riuscitissimo tappeto di synth e piano. Arriviamo così alle battute finali, quando si spegne la riuscitissima “Crimson On The White Sand”, passionale, oscura ed efficace, che chiude un lavoro tutto sommato buono, anche se a tratti poco convincente e originale, ma che sicuramente lancia qualche spunto d’ascolto gradevole.

© 2020, Alberto Rozza. All rights reserved.

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