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Recensione

88/100

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Bloody Heels – Ignite The Sky – recensione

21 Luglio 2020 6 Commenti Giulio Burato

genere: Glam Metal
anno: 2020
etichetta: Frontiers Music Srl

Tracklist:

01. Ignite The Sky
02. Criminal Masterminds
03. No Matter
04. Sugar & Spice
05. Farewell To Yesterday
06. Black Swan
07. Stand Your Ground
08. Thin Line
09. Silhouette
10. Healing Waters
11. Streets Of Misery

Formazione:

Vocals – Valts Berzins (Vicky White)
Guitars – Haralds Avotins (Harry Rivers)
Bass – Gunars Narbuts (Gunn Everett)
Drums – Gustavs Vanags (Gus Hawk)
Cello on track ‘Silhouette’ – Erna Daugaviete
Saxophone on track ‘Healing Waters’ – Dagnis Rozins

 

I primi sei mesi di questo 2020 saranno sicuramente ricordati per una serie di avvenimenti che hanno lasciato un segno indelebile a livello mondiale. Per alleggerire la negatività, parliamo semplicemente di musica e nello specifico del genere a cui fa fede il nostro sito. Il 2020 è un’annata che sarà ricordata per la scoperta d’interessanti realtà musicali in latitudini cui non siamo generalmente abituati. Ebbene sì, dopo i sorprendenti indiani GATC e i brasiliani Electric Mob, ecco i lettoni Bloody Heels.

Messi sotto contratto dalla nostra impareggiabile Frontiers, la band è alla seconda uscita discografica dopo il promettente “Through Mystery” uscito nel 2017 e al primo, antecedente, EP intitolato “Summer nights”. I quattro lettoni sono Vicky White alla voce, Harry Rivers alla chitarra, il bassista Gunn Everet e il batterista Gus Hawk; propongono un glam metal che ci rimanda a band come Skid Row, Ratt, Heaven’s Edge e ai più recenti Crashdiet.
Partiamo dalla copertina. Scendiamo idealmente le scale di un club, dove il “rosso fuoco” va sicuramente di moda; accomodiamoci in un divanetto e “gustiamoci lo spettacolo” con la carica dei primi due singoli rilasciati. La forzuta e cruda title-track, e l’energica “Criminal Masterminds” che ha suscitato un grande interesse nella sua prima settimana di presenza su Youtube; innegabilmente un pezzo che spacca. “No matter” ha un ritornello più facile da assimilare e mi accende la lampadina verso i già nominati Crashdiet. Uno sguardo verso gli anni’80 per la successiva “Sugar_Spice”, un canzone che pesta sull’acceleratore senza portare con sé il pedale del freno; un vero pugno allo stomaco dove lo sleaze metal e il glam si rincorrono continuamente.
Passiamo al momento più catchy, ossia al terzo singolo “Farewell to yesterday” condito da un video originale a 360°; canzone con variazioni tecniche molto interessanti e con un ritornello che ha quel ruffiano che piace, ma non invade. “Black Swan” è uno di quei pezzi dell’album, dove i nostri dimostrano veramente di che pasta sono fatti, andando oltre alla composizione di un brano hard rock. Basta soffermarsi ad ascoltare come il brano si sviluppa e vira nella seconda metà verso lidi inizialmente impensabili; tra le altre cose, da rilevare come il cantato si bilanci molto bene tra la parte graffiante e limpida. Grandioso il lavoro di chitarra che in alcuni frangenti richiama John Sykes. Nei secondi finali, si vira nuovamente; questa volta verso a una disco music anni’80. Sorprendente.
“Stand your Ground” è uno dei brani più diretti dell’album, una miscela esplosiva tra l’hard rock scandinavo e americano degli anni ’80. Dannatamente heavy metal e glam metal fusi alla perfezione. “Thin Line” è invece uno dei capolavori dell’album. Semplicemente perfetta dove si respira quell’hard rock positivo, trascinante, senza fronzoli ed emozionante che solo le bands d’oltre oceano a fine ’80 e primi ‘90 hanno saputo regalarci; un ritornello da gridare a cielo aperto in segno di libertà e felicità. Sembra a tutti gli effetti un pezzo scritto molti anni fa dai tanto amati Poison e poi dimenticato in qualche cassetto; inutile soffermarsi sulle prestazioni dei singoli musicisti ma è degno di nota l’acuto del cantante verso la fine del pezzo, emozionante. Se fossero stati appunto i Poison a comporre questo pezzo, andrebbe sicuramente in testa alle classifiche americane.
”Silhouette” non è una vera e propria ballad; è un brano semplicemente slow, d’atmosfera, struggente, dove i Bloody Heels tracciano il loro viaggio in crescendo, un po’ come lo era stato musicalmente “The sun goes down” dei Thin Lizzy; strepitosa la prestazione vocale che a tratti ricorda Ricky Warwick dei primi The Almighty e impressionante il lavoro alla chitarra.
Si chiude la scaletta con “Healing Waters” e “Streets of misery”; due canzoni di chiara matrice glam metal. La prima ha spunti di Ratt e connotatati a stelle e strisce nel suo DNA, ma, soprattutto, ha in dote un sontuoso assolo di sassofono incastonato sagacemente al minuto 2:17; mentre la seconda è più ruvida, o meglio, più “street” come decanta il titolo e strizza l’occhio ai Motley Crue più acerbi.

IN CONCLUSIONE

La serata si è chiusa in bellezza e risaliamo quelle scale di rosso illuminate. Poco da aggiungere tranne una semplice considerazione: in Lettonia le belle sorprese sono dietro all’angolo e questo “Ignite the sky” ne è la prova lampante.

Un sentito ringraziamento (anche da parte di MelodicRock.it… n.d.r.) al mio amico fraterno Emiliano “Huba” che mi ha affiancato nella stesura di questa recensione.

© 2020, Giulio Burato. All rights reserved.

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