LOGIN UTENTE

Ricordami

Registrati a MelodicRock.it

Registrati gratuitamente a Melodicrock.it! Potrai commentare le news e le recensioni, metterti in contatto con gli altri utenti del sito e sfruttare tutte le potenzialità della tua area personale.

effettua il Login con il tuo utente e password oppure registrati al sito di Melodic Rock Italia!

Recensione

95/100

Video

Pubblicità

Whitesnake – Flesh & Blood – Recensione

17 Maggio 2019 156 Commenti Alessio "Sixx" Garzi

genere: Hard Rock
anno: 2019
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01. Good To See You Again
02. Gonna Be Alright
03. Shut Up & Kiss Me
04. Hey You (You Make Me Rock)
05. Always & Forever
06. When I Think Of You (Color Me Blue)
07. Trouble Is Your Middle Name
08. Flesh & Blood
09. Well I Never
10. Heart Of Stone
11. Get Up
12. After All
13. Sands Of Time

Formazione:

David Coverdale – Vocals
Tommy Aldridge – Drum
Michele Luppi – Keyboards
Michael Devin – Bass Reb Beach- Guitar
Joel Hoekstra – Guitar

 

Estasiato…ecco il termine giusto per definirmi dopo aver ascoltato varie volte il nuovo disco degli Whitesnake di Mr. Coverdale. E non potrebbe essere altrimenti! Non stupitevi di queste parole, perché se anche voi amate da sempre la musica del Serpente Bianco come la amo io, non potete che rimanere davvero senza parole di fronte ad un album del genere. Non esagero, assolutamente. E se ritenete che la voce di David Coverdale non sia più quella di un tempo, soprattutto dal vivo, riconoscerete (per onestà intellettuale) che questo album ha tutte le carte in regola per stare a fianco dei capolavori storici della band, “1987” in primis.

Il più evidente miglioramento rispetto al recente passato è, paradossalmente l’assenza del biondocrinito Doug Aldrich, chitarrista con il quale David Coverdale ha voluto resuscitare la band nei primi anni duemila. Proprio la sua dipartita, per me, ha permesso al grande Reb Beach, finalmente, di esprimere al meglio tutta la sua cristallina classe sia in ambito chitarristico, che anche e forse soprattutto dal punto di vista del songwriting. L’asso nella manica della nuova incarnazione dei Serpenti è poi Joel Hoekstra, virtuoso della sei corde, che ha portato nuova linfa alla band e tonnellate di melodia.

Non nego l’importanza storica di Doug Aldrich, ma nei due album in cui ha suonato (che comunque considero dei grandi albums, sia chiaro), proprio i suoni di chitarra, troppo compressi uniti ad una certa staticità compositiva, hanno, sempre secondo me, inficiato in senso negativo sulla riuscita di molte song. E’ infatti subito evidente, lo si evince sin dal primo ascolto, una nuova dinamicità ritmica nelle composizioni di questo album, meno legate a certi canoni blues un po’ troppo limitanti ed invece aperte a nuove soluzioni stilistiche e ad una freschezza di suoni che le rende Whitesnake al punto giusto, ma senza farle sembrare semplici rifacimenti del passato.

E’ proprio la freschezza la caratteristica più evidente di questo album (almeno rispetto al recente passato): aperture melodiche, cori ariosi (Michele Luppi in grande spolvero) e giochi di chitarre che rimandano direttamente agli anthems tipici degli anni 80. La pesantezza hard blues c’è sempre, ma non è oppressiva e ripetitiva come in passato.

Il trittico iniziale è da applausi a scena aperta. “GOOD TO SEE YOU AGAIN” dà il benritrovato a tutti noi ascoltatori, con un riff metallizzato (chi ha detto Accept?) che affascina pur nella sua semplicità e che dopo pochi secondi si fonde in un ritmo hard blues dal tiro pazzesco! Tommy Aldridge è un rullo compressore ed il ritmo incalzante della sua batteria ci avvolge in un groove rovente accompagnato dalle strofe urlate da Coverdale che esprimono tutta l’urgenza di rendere ben chiaro un concetto fondamentale: il Serpente Bianco è tornato ed è più in forma che mai!

Si prosegue con “GONNA BE ALRIGHT”, che a dir la verità spezza un po’ il ritmo, con il suo mood molto Coverdale Page, ma che è impossibile non amare sin dal primo ascolto. Sembra davvero uscita dal songbook di quel capolavoro assoluto datato 1993. Atmosfere orientaleggianti, voce graffiante e sensuale, armonie chitarristiche sornione seppur elettriche fanno di questa canzone un piccolo gioiello.

SHUT UP & KISS ME”, il singolo apripista dell’album è quanto di più ottantiano ci si possa aspettare da Mr. Coverdale…un biglietto da visita clamoroso. Riff iniziale che sembra scritto nel 1989 (e che non avrebbe sfigurato affatto su SLIP OF THE TONGUE), atmosfera da party e puro divertimento chitarristico. E’ un po’ la GIMME ALL YOUR LOVE degli Whitesnake targati 2019. E’ una di quelle canzoni che ho sempre sognato che scrivessero, dai tempi della splendida WINGS OF THE STORM, gemma assoluta e colpevolmente dimenticata della loro gloriosa discografia.

HEY YOU (YOU MAKE ME ROCK)” si apre con un riffone pachidermico (immaginate il riff di MISTREATED dei Deep Purple, scritto però nel 2019…) nel quale si inserisce la voce filtrata di Coverdale che, perdonatemi l’azzardo, ma mi ricorda molto le atmosfere dark nel recente Ozzy Osbourne. Il chorus deciso e urlato in faccia sembra scritto apposta per essere cantato a squarciagola dal pubblico durante i concerti! Il sound è pesantissimo, martellante, esplosivo e l’impatto della canzone è devastante. Il suoni sono mixati in maniera chiara, pulita, nitida…è del tutto assente quella sgradevole sensazione opprimente data dal suono di chitarra di Doug Aldrich…finalmente direi!

ALWAYS & FOREVER” è pura magia! Sembra uscita dalla penna (o dal plettro) di Phil Lynott! Attrae con la sua spensieratezza contagiosa e con la sua semplicità rock. E’ frizzante ed allo stesso tempo romantica e catapulta la nostra mente sulle spiagge californiane, tra cocktails e bikini. Un ritmo in puro stile Thin Lizzy con in più quella malizia propria del songwriting di Sua Maestà David Coverdale. Spettacolare!

WHEN I THINK OF YOU (YOU COLOUR ME BLUE)” è una ballad in puro stile coverdaliano, ruffiana quanto basta, ammaliante nella sua elegante sensualità ed allo stesso tempo rockeggiante, un po’ alla HERE I GO AGAIN (la versione radio mix con Dan Huff alla chitarra, tanto per capirsi). Chapeau.

TROUBLE IS YOUR MIDDLE NAME” si apre con un giro blues sporco, con la voce di Coverdale che si insinua tra le note, in un crescendo di rabbia che esplode in un chorus incaxxatissimo. Si alternano momenti di calma apparente ad aggressioni sonore degne dell’hard blues più grezzo, il tutto condito da un lavoro di chitarra sopraffino. Un must assoluto, un futuro classico della band.

La titletrack è un midtempo hard rock che rimanda direttamente al sound di “1987”. Il chorus magari non è tra i più originali del lotto, ma la cura dei dettagli, l’esperienza dei musicisti coinvolti e la classe del leader, la rendono degna del nome Whitesnake.

WELL I NEVER” sembra proseguire sulla falsariga della titletrack: leggermente più atmosferica e dal chorus ossessivo, non spicca particolarmente (opinione personale). Bello il solo di slide guitar. Forse il pezzo che mi ha impressionato di meno.

HEART OF STONE” invece colpisce subito con la sua atmosfera epicamente blues e magniloquente: le strofe accennate da un Coverdale cupo come non mai, trasportano l’ascoltatore lungo una di quelle tante notti fumose fatte di peccati, illusioni ed amori fugaci, dai quali si rimane sempre e comunque irrimediabilmente bruciati.

GET UP” spiazza un po’, con il suo ritmo Van Haleniano (Hot for Theacher…) tanto che sembra quasi un divertissement o un piccolo tributo proprio alla band di cui sopra. Rimane il fatto che la canzone risulta piacevole all’ascolto e dimostra che la band può anche permettersi di proporre un sound diverso dal solito, quasi derivativo, mantenendo comunque alta la qualità del proprio songwriting. Un plauso all’eccellente lavoro di Joel Hoekstra e di Reb Beach.

AFTER ALL” è una perla acustica, graziata dal magico tocco di Joel e narrata da un Coverdale poetico ed a suo agio con certe atmosfere bucoliche, ormai caratteristica sempre più presente nel songbook della band. Un canzone che vola leggera, ispirata che ci accompagna verso la fine dell’album. Bellissima.

L’album si chiude ufficialmente (senza contare le bonus tracks della edizione deluxe) con un capolavoro chiamato “SANDS OF TIME”. Si dirà: l’ennesimo tributo al sound zeppeliniano. No, questa song è molto di più. E’ la sublimazione di quel sound, il suo perfezionamento, la sua definitiva consacrazione. Un capolavoro in musica, nel quale le atmosfere care alla band del dirigibile raggiungono il massimo della propria espressività. Mai prima d’ora (pensiero mio, sia chiaro) David Coverdale aveva tributato a quel sound ed a quella band un pezzo di tale qualità. Grande merito è di sicuro anche dei suoi collaboratori di songwriting, che sono riusciti nel compito più difficile: rendere un riff ormai standardizzato in qualcosa di personale, in qualcosa di più di un semplice tributo. Un nuova STILL OF THE NIGHT? Forse. Di sicuro un nuovo pezzo di storia degli Whitesnake. Inchino con lacrima d’emozione.

Le due bonus tracks sono “CAN’T DO RIGHT FOR DOING WRONG”, un blues elegante che rimanda direttamente agli Whitesnake degli esordi, fin anche ai primi due dischi solisti di Coverdale. L’uso dell’hammond ricrea proprio quel tipo di sound che ha caratterizzato la band in quegli anni e risentirlo oggi, a distanza di tanti anni, fa venire i brividi. Atmosfere ormai fuori moda, ma dall’incredibile fascino. Molto vicina al LOST WOMAN BLUES degli ultimi Motorhead.

L’ultima song è “IF I CAN’T HAVE YOU”, una bordata hard blues che sembra derivare dalle sessions di RESTLESS HEART, capolavoro del 1997. Semplice nella sua struttura è comunque un pezzo davvero bello, che alterna grinta e delicatezza nei cori. Assolo di gran gusto per una closing song da applausi a scena aperta.

IN CONCLUSIONE

Che dire?…attendevo con trepidazione questo nuovo capitolo della storia musicale degli Whitesnake e…ne è valsa davvero la pena! Il disco è entusiasmante, raggiunge picchi qualitativi assoluti ed anche nei momenti più “standard” risulta godibilissimo. Gran parte del merito è di sicuro della armonia interna alla band. Joel e Reb sono una coppia di asce davvero perfetta e ben amalgamata. Tommy Aldridge è una leggenda vivente e con Michael Devin forma una macchina ritmica esplosiva. Michele Luppi, infine, dimostra sia strumentalmente che vocalmente che in questa band ci può e ci deve stare. Se lo merita davvero.

Grazie Mr. Coverdale per l’ennesima gioia che mi hai dato!

Lunga vita al Serpente Bianco!

© 2019, Alessio “Sixx” Garzi. All rights reserved.

Ultime Recensioni

Devi essere registrato e loggato sul sito per poter leggere o commentare gli Articoli

156
0
Would love your thoughts, please comment.x