LOGIN UTENTE

Ricordami

Registrati a MelodicRock.it

Registrati gratuitamente a Melodicrock.it! Potrai commentare le news e le recensioni, metterti in contatto con gli altri utenti del sito e sfruttare tutte le potenzialità della tua area personale.

effettua il Login con il tuo utente e password oppure registrati al sito di Melodic Rock Italia!

Recensione Classico

Classico

Video

Pubblicità

Signal – Loud & Clear – I Classici

14 Maggio 2019 31 Commenti Alessio "Sixx" Garzi

genere: AOR
anno: 1989
etichetta: EMI
ristampe: 2008

Tracklist:

1. Arms of a Stranger
2. Does it Feel Like Love
3. My Mistake
4. This Love, This Time
5. Wake Up You Little Fool
6. Liar
7. Could This Be Love
8. You Won't See Me Cry
9. Go
10. Run Into the Night

Formazione:

Mark Free: lead vocals
Danny Jacob: guitar
Erik Scott: bass, keyboards
Jan Uvena: drums, percussion

 

Quando pensi ad un album perfetto spesso ti vengono in mente i classici, quelli universalmente riconosciuti come tali (sia dalla critica, sia dalle vendite dell’album) ed allora ti risulta facile scrivere Journey, Foreigner, Whitesnake, Dokken, Toto, Survivor e chi più ne ha, più ne metta. Poi ci pensi ancora un pò su e ti accorgi che in quei classici forse qualche pecca c’è comunque: una canzone sotto tono, un solo fuori posto, un qualcosa che in verità non ti è mai piaciuto, ma poco importa…sono “classici”, quindi perfetti ed incriticabili a prescindere. Poche volte ho trovato un album senza “macchia”: forse solo “1987” degli Whitesnake, “Sahara” degli House of Lords, “Love among the cannibals” degli Starship o “Native Tongue” dei Poison…ops…ma questo non è un “classico”?…ok, ma per me è un disco perfetto. Ah, dimenticavo…questa è solo una mia personale considerazione, del tutto criticabile, sia chiaro. Però a me spesso è successo di amare un “classico”, ma di criticarne allo stesso tempo qualche difetto: è capitato e capita ancora oggi.

Poi ci sono, invece, quegli album che la storia ha relegato in un angolo buio, senza nessuna ragione plausibile, se non le ingiuste leggi del business, destinati all’oblio, pur essendo tesori musicali di assoluta qualità, da tramandare ai posteri come esempi di classe sopraffina, nei suoni, nel songwriting e nella performance complessiva della band. Ecco, quello di cui voglio parlare oggi è uno di questi album.

Oggi, infatti, scrivo di un album perfetto, che considero un “classico” class metal – AOR di tutti i tempi, una pietra miliare assoluta. Esagero? Forse, ma LOUD & CLEAR dei SIGNAL sarebbe dovuto essere un “classico” di tutti i tempi ed avrebbe dovuto vendere milioni di album se…se fosse uscito nel 1986 e non nel 1990! Grunge…che brutta parola.

Per anni considerato alla stregua di un Santo Graal dell’Aor, vista la sua irreperibilità (venne infatti stampato in poche copie e la band scaricata poco dopo la sua pubblicazione dalla EMI), grazie alla Axe Killer venne ristampato nel 1999, egregiamente rimasterizzato e rimesso sul mercato, a rendere finalmente giustizia ad un capolavoro vero e proprio.

La produzione affidata a Kevin Elson (Europe, Mr. Big, Journey) è cristallina, cromata al punto giusto, perfetta per il songwriting proposto dai SIGNAL ed in grado di esaltare all’ennesima potenza la voce incredibile di Sua Maestà MARK FREE, nel pieno del suo splendore artistico.

Reduce dall’esperienza con i King Kobra, autori di due album bellissimi (per il sottoscritto), MARK FREE verrà consacrato al culto eterno dagli adepti dell’AOR proprio con questo LOUD & CLEAR: culto che negli anni a venire sarà suggellato dal primo album degli Unruly Child e dai suoi due album solisti, oltre che dalle innumerevoli demo da lui registrate nel tempo.

L’inizio dell’album è incredibile: il riff di ARMS OF A STRANGER è da antologia del melodic rock, una sorgente inesauribile di classe, da cui hanno attinto in molti. Ritmo frizzante e deciso, chitarre cromate e taglienti accompagnano la voce di MARK FREE, che tuona un chorus da pelle d’oca. Non scherzo, la pelle d’oca riaffiora ad ogni ascolto! Questa è uno di quei refrain che ti si appiccicano addosso e non ti si staccano più!

DOES IT FEEL LIKE LOVE, con il suo giro di tastiere che fa molto Baba O’Riley degli Who, conferma l’eccellenza e si descrive come power ballad emozionale, dai toni soft ed eleganti. Il chorus da solo vale intere discografie di band più blasonate, per l’intensità che esprime e la passione che trasuda la prova vocale di un MARK FREE stellare.

MY MISTAKE, scritta da Bob Halligan Jr., con il suo incedere pomp alla Toto, sterza un pò le coordinate sonore e raggiunge il suo apice nei cori, dove il biondo singer duella con un giovanissimo ERIC MARTIN. Da applausi.

THIS LOVE, THIS TIME riporta l’album su toni più rilassati e risulta essere una ballad pregna di romanticismo, dolce e disperato al tempo stesso. Inutile sottolineare come la voce calda e suadente di MARK FREE riesca ad impreziosirla e ad elevarla a capolavoro senza tempo.

WAKE UP YOU LITTLE FOOL, con il suo iniziale arpeggio di chitarra, ricorda le atmosfere vagamente tristi degli Scorpions, ma cresce d’intensità esprimendosi in un mid tempo che esplode come uno squarcio di sole in un chorus deciso, che cancella in un colpo solo le nubi iniziali.

LIAR si apre cadenzata e cresce di pathos all’altezza del coro declamatorio e rabbioso. Un break centrale, più soft, apre le porte ad un ottimo solo, prima che il buon MARK riprenda le redini della canzone e la accompagni melodrammaticamente alla conclusione.

COULD THIS BE LOVE, nata dalla collaborazione tra MARK FREE e CURT CUOMO non avrebbe sfigurato in un classic album dei Journey o dei Foreigner, tanta è la sua bellezza. Canzone che rasenta la perfezione e che in un mondo “musicalmente giusto”, sarebbe venerata ed inserita nella top 5 delle migliori ballads di tutti i tempi. Un highlight immortale.

YOU WON’T SEE ME CRY aumenta un pò il ritmo, le chitarre tornano a graffiare e disegnano insieme alle tastiere una class metal song dal chorus ammaliante a più voci, durante il quale MARK FREE raggiunge vette inarrivabili per molti altri più blasonati cantanti.

GO, con il suo incedere urgente, è un up tempo che mi ricorda i Diving For Pearls nell’uso delle chitarre e l’immediatezza dei Foreigner nel chorus. Scorre via veloce, ma ci lascia in dono abbondanti dosi di classe ed eleganza.

RUN INTO THE NIGHT chiude l’album col botto: inizia delicata con la sua atmosfera serena e, come una camminata che si trasforma in corsa, aumenta il voltaggio chitarristico e si trasforma in una pop rock song cromata e spensierata. Sembra di sentirla risuonare al tramonto di una giornata estiva, quando l’atmosfera si fa più frizzante, perché sa che la serata sta per iniziare e la notte sarà ancora protagonista.

So di averla romanzata un po’ troppo questa recensione, ma mi è venuta così. Ci sono album che ti sanno trasportare in un mondo di emozioni e la scrittura ne risente…se in bene o in male lo giudicherete voi. Io ho scritto solo quello che di bello mi ha sempre trasmesso questo album, certo che me lo saprà trasmettere anche in futuro, ogni volta che avrò voglia di ascoltarlo.

© 2019, Alessio “Sixx” Garzi. All rights reserved.

Ultimi Classici e Gemme Sepolte

Devi essere registrato e loggato sul sito per poter leggere o commentare gli Articoli

31
0
Would love your thoughts, please comment.x