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21 Aprile 2019 2 Commenti Luka Shake Me
genere: AoR
anno: 2019
etichetta: AOR Heaven
Tracklist:
01. I Can See In Your Eyes
02. Scared To Breathe
03. A Thousand Pieces
04. Secrets and Lies
05. I Never Cried
06. Homeland
07. Don't let go
08. Suicide Satellite
09. A Love So Cruel
10. Magnetic Memories
11. Jealousy
Formazione:
Jason Morgan: Voce
Neil Fraser: Chitarre
Joao Colaco: Batteria
Contatti:
Progetto dal moniker importante quanto bizzarro per il britannico e pluriaffaccendato Neil Fraser; in passato coinvolto in collaborazioni di un certo spessore quali Ten e Tony Mills (TNT, SHY). Un Hard Rock pomposo il platter che vede la luce sotto l’egida AOR Heaven e che potrà trovare estimatori fra i vecchi leoni nostalgici di certe sonorità oggettivamente datate. Vediamo cosa riserva il debut album “Scared to Breath”.
“I Can See In Your Eyes” presenta il full nel migliore dei modi; intro stellare con tastiere saldamente ancorate al classico aor pomposo molto retrò ma che ancora oggi fa battere sempre i cuori di rockers canuti. La linea vocale è di gran classe come il genere impone. Una minestra riscaldata più volte, ma pur sempre un’ottima minestra.
“Scared To Breathe” nonostante si mantenga sui connotati dell’aor più pomposo, in questo caso riserva un songwriting più ricercato e relativamente originale; gli arrangiamenti mostrano quanta classe il combo abbia in serbo. Classe e perizia tecnica si fondono egregiamente; fiducioso per un gran bel dischetto.
“A Thousand Pieces” necessita di un ascolto più approfondito; spiazzante dall’inizio alla fine vive di più momenti. Un plauso per l’originalità e la ricercatezza. Monolitico e oscuro che sfocia in un crescendo aperto sicuramente agevolato da chitarre più scarne e meno rocciose. A gusto personale, una composizione che pur mantenendo connotati retrò si muove su territori quantomeno non esattamente catchy o scontati.
“Secrets and Lies” ha il piglio blueseggiante con un chorus che esce dal contesto, dimostrando ancora una volta la bontà di un progetto che sa offrire manciate di belle armonie senza annoiare; il tutto è sempre misurato seppur catchy.
“I Never Cried” è la prima ballad che arriva con precisione chirurgica a centro disco; ammetto di non essere stato particolarmente colpito dalla traccia che purtroppo scivola via senza troppi scossoni. La mia valutazione forse inficiata dai termini di paragone di ultime uscite fatte di produzioni assolutamente superiori.
“Homeland” si presenta più roccioso; bel mid tempo magniloquente, trascinante nel chorus e anche relativamente sperimentale; ottimo dunque il lavoro svolto dalle chitarre ben supportate da keyboards incisive e preziose al contesto.
“Don’t let go” purtroppo segna un calo netto qualitativo importante. Il pezzo malgrado possa sembrare anche ricercato, si trascina stancamente. Nulla da dire riguardo il lavoro svolto per gli arrangiamenti egregiamente costruiti; il problema è che sembra voler offuscare un songwriting non all’altezza.
“Suicide Satellite” ritorniamo su standard più che accettabili; il mood del pezzo è trascinante e vagamente bluesy, più asciutto delle composizioni precedenti, privo di orpelli delineati dalle onnipresenti tastiere. In questo contesto c’è solo un caldo ed egregio lavoro di chitarre.
“A Love So Cruel” una delle tracce più incisive del lotto e che potrebbe restare di più nel cuore di chi avrà voglia di avvicinarsi al progetto Treshula. AoR diretto e pregno di belle armonie. Promozione assoluta per la traccia in oggetto.
“Magnetic Memories” si muove in territori vagamente neoclassici e lo fa con apprezzabili risultati. Tastiere e chitarre sembra vogliano ritagliarsi lo spazio che finora era stato relativamente marginale. Una delle tracce più originali ma che al tempo stesso necessita di un ascolto più accurato per essere metabolizzato.
“Jealousy” ultima traccia di un lavoro sicuramente ben prodotto; almeno da questo punto di vista promozione assoluta. Ritroviamo chorus aperti e controcanti sempre misurati e che fortunatamente non sembrano autocelebrativi; la misura e lo stile dunque; ad onor del vero peculiarità presente un po’ su tutto il disco.
IN CONCLUSIONE
Un lavoro che a me non è dispiaciuto; il sottoscritto però ha avuto il “vantaggio” di ascoltarlo più volte per cause di forza maggiore; dunque non di facile presa e a tratti potrà anche scivolare erroneamente in simil noia. “Scared to Breath” non è oggettivamente un grandissimo album anche se promosso e trampolino di lancio per un futuro platter di ben altro spessore.
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