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Recensione

85/100

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Snakes in Paradise – Step Into The Light – recensione

04 Febbraio 2019 4 Commenti Alessio "Sixx" Garzi

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

Wings Of Steel
Silent Sky
Will You Remember Me
Angelin
Living Without Your Love
If I Ever See The Sun Again
After The Fire Is Gone
Love On The Other Side
Things
Liza
Life’s Been Good To You & Me
Step Into The Light

Formazione:

Peter Peterson - Drums
Tomas Thorberg - Bass
Stefan Jonsson - Guitar
Thomas Jakobsson - Guitar
Stefan Berggren – Vocals

Contatti:

https://www.facebook.com/SnakesInParadise/

 

Era il lontano 1998 quando conobbi per la prima volta gli SNAKES IN PARADISE e lo feci nel modo classico di allora (almeno per me)… sceglievo le band che non conoscevo in base al nome ed alla copertina ed alle conseguenti sensazioni che mi davano. Vidi la copertina vagamente vintage Whitesnake, il nome che era un mix tra la band di Mr. Coverdale ed un qualcosa che mi rimandava a Ronnie James Dio (banalissima quanto illogica equazione Paradiso – Dio…il cantante però…) ed amore fu. Vabbè sorvoliamo…forse è meglio.

Fortuna volle che, pur partendo da queste ridicole premesse, mi ritrovassi tra le mani una perla di assoluta bellezza e perfezione, intitolata GARDEN OF EDEN, secondo album della band, dal quale rimasi letteralmente folgorato. Influenze prettamente Whitesnake (ascoltatevi Voice Inside o Child Of Yesterday per farvi un’idea) ed una voce incredibile, che sublimava ogni singola nota con echi che rimandavano anche (e non bestemmio) al mitico R. J. Dio oltre che al Maestro Coverdale.

Amai molto anche il primo album, dalle tinte prettamente AOR, un po’ meno il terzo, più diretto e meno ricercato ed ispirato rispetto ai precedenti, anche se resta un grande disco.

Oggi, a distanza di un ventennio, mi godo questo loro nuovo lavoro ed onestamente lo affronto (mia colpa, mia grandissima colpa) con in mente quella perfezione che purtroppo non ritrovo qui, se non a tratti. Nulla da dire sulla band: ottimi musicisti erano e continuano ad esserlo ancora oggi. Un cantante che amo e che ho seguito anche nelle sue avventure con Company of Snakes, Razorback, Berggren/Kerslake, Revolution Road oltre che in quella solista con il recente STRANGER IN A STRANGELAND, nel quale ancora una volta collabora con Neil Murray e Bernie Marsden. Ma torniamo a noi.

L’album parte con l’opener WINGS OF STEEL, song dalla intro acustica che poi cresce d’intensità con la quale l’orologio del tempo sembra riprendere proprio da dove gli SNAKES avevano lasciato: quel DANGEROUS LOVE, diretto e rockeggiante, datato 2002. Batteria pimpante e power chords semplici quanto efficaci di supporto. Chorus metallicamente melodico, dove spicca la strepitosa voce di Stefan Berggren. Break quasi parlato che anticipa il solo, ben inserito nella struttura della canzone. Song dalle chiare influenze Rainbow tinteggiate di FM: grintosa eleganza.

Si prosegue con SILENT SKY, canzone caratterizzata da un incipit Whitesnake style, una intro maestosa che poi si apre in un mid tempo che somiglia molto ad una lenta cavalcata (immaginate HOLY DIVER in versione melodic…e non uccidetemi), con atmosfere che rimandano al secondo album degli Steelhouse Lane ed a qualcosa degli House of Lords. Il chorus è maestoso, merito soprattutto alla voce suadente di Berggren, a tratti vicina all’ugola di R. J. Dio e nei toni bassi decisamente coverdaliana.

La terza canzone, WILL YOU REMEMBER ME, scelta come singolo, è una rock song frizzante dalla struttura vagamente 70’s, che ricorda il riffing dei FREE. Diretta anche nel chorus, che strizza l’occhio ai Thin Lizzy più melodici, si avvicina molto alle atmosfere proposte dagli SNAKES in GARDEN OF EDEN, mancando però quel supporto dei tastiere ottantiane, tipico di quel disco. Ottima song.

ANGELIN ha una intro “particolare” che poi svanisce tra le note di una voce coverdaliana a più non posso ed un flavour soft Zeppelin nei brevi inserti chitarristici. Ballad malinconica e suadente con un chorus alla Mr. BIG.

LIVING WITHOUT YOUR LOVE è hard rock con richiami agli Europe della epoca Prisoners in Paradise mescolati a qualche eco di Mr. BIG e Brian Adams. Il chorus trascinante nella sua semplicità, dal flavour vagamente Thin Lizzy, sfuma nell’acustico e ci accompagna ad un solo azzeccatissimo. Prova strumentale da applausi.

IF I EVER SEE THE SUN ha un intro zeppeliniana ed è sorretta per tutta la sua durata da un riff a metà strada tra Deep Purple ed Uriah Heep che esplode in un chorus romanticamente epico. Chapeau.

AFTER THE FIRE IS GONE si apre con un’atmosfera crepuscolare, dove si inserisce con dolcezza la voce di Berggren e si trasforma in una semi ballad che cresce col supporto ritmico della chitarra, pur rimanendo su lidi soft, quasi cantautoriali (se dico Pearl Jam esagero?).

LOVE ON THE OTHER SIDE è invece un pop rock leggero dove spicca ancora una volta la bella voce del singer. Ottimo il refrain, mix tra Thin Lizzy e certi Soul Asylum, con la prova egregia di Berggren che riesce a mantenere la song sulle giuste coordinate hard aor. Chorus di un’altra categoria che confeziona un piccolo capolavoro.

THINGS, con un attacco che ricorda gli Eagles più frizzanti, è un mid tempo pop rock basato su ottime melodie. Una classica song da viaggio. Bridge strumentale che rimanda chiaramente ai primi due albums della band. Nel chorus mi ricorda “Best things of my life” degli Steelhouse Lane e nelle armonie chitarristiche i Thin Lizzy.

LIZA ha, invece, un mood moderno ed un suono pieno di chitarra a livello ritmico. Song quasi tecnologica in confronto alle altre. Lineare, si regge soprattutto sul riuscito chorus.

LIFE’S BEEN GOOD TO YOU AND ME è un up tempo grintoso con chitarre graffianti che esplode in un chorus elegante e ben riuscito (è una unreleased song dei tempi di GARDEN OF EDEN). La voce entra sul tappeto ritmico della batteria e mantiene tutta la canzone su binari di energia positiva.

STEP INTO THE LIGHT, infine, è una soft ballad acustica sorretta da un pianoforte protagonista. Voci sovrapposte incisive ed un crescendo di fraseggi di chitarra la rendono una delle canzoni più riuscite dell’album. Risente forse, e dico forse, di un arrangiamento un po’ troppo scarno, ma è solo una mia sensazione.

In conclusione ritengo che il disco, pur reggendosi su basi solide ed una classe evidente che fa parte del bagaglio di esperienze di questa band, soffre la mancanza di qualche highlight: quelle canzoni che ti lasciano letteralmente a bocca aperta (come Deep In Your Heart, Love Got Wings e Book Of My Life dal primo omonimo album o Voice Inside, Don’t Let The Love Turn To Hate o Child Of Yesterday da GARDEN OF EDEN). Ma forse questo era chiedere troppo, dopo tutti questi anni di assenza dalle scene. Gli SNAKES IN PARADISE però hanno ancora molto da offrire agli amanti del melodic rock: diciamo che questo è solo l’aperitivo. Speriamo solo che non passino altri 16 anni prima di un loro nuovo lavoro.

Bentornati SNAKES IN PARADISE, che questo album sia un nuovo inizio. E le buone premesse ci sono tutte.

© 2019, Alessio “Sixx” Garzi. All rights reserved.

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