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26 Gennaio 2019 1 Commento Luka Shake Me
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Melodic Rock Records
Tracklist:
01. Playing With Fire
02. Never say Die
03. Blind
04. What You Make It
05. Someone Like You
06. Our Song
07. Stone By Stone
08. In Everyone Of Us
09. Wildside
10. Fire Me Up
11. Beggars Gold
12. Take A Look At Me Now
13. Welcome To The Revolution
Formazione:
Tony Mitchell: Voce, Chitarre, Basso, Tastiere
Ospiti:
Chris Hunt: Chitarra
Paul Hume: Chitarra
James Marsh: Chitarra
Tim Manford: Chitarra
Eddie Anthony: Batteria
Daniel Sings: Sax
Sue Willets: Voce
Rouges Gallery Gospel: Cori
Contatti:
Molti artisti nel corso della loro carriera, sono riusciti a ritagliarsi un loro spazio offrendo i propri servigi a nomi più altisonanti; songwriter, produttori, session, ruoli più disparati, nel frattempo coltivano l’impacabile voglia di scrivere per se stessi finalmente; riuscire a convogliare in musica tutta l’esperienza accumulata. Tony Mitchell potrebbe essere uno dei personaggi sopracitati, da annoverare la sua collaborazione ad esempio con il grande Tony Adley prima e dell’istrionico Alice Cooper poi; Alas Parson o il grande Rick Wakeman per citare qualche altro nome altisonante. Una grande capacità compositiva che il frontman degli inglesi Kiss Of The Gipsy riversa anche attualmente in colonne sonore per film o videoclip di svariata natura. Un poliedrico artista che riesce ad esporsi in prima persona con il full “Beggars Gold” di cui è autore, oltre che produttore, ed è sempre lui ad occuparsi della quasi totalità degli arrangiamenti con l’ausilio di guest sotto l’egida Melodic Rock Records.
“Playing With Fire” apre nel migliore dei modi un platter che si preannuncia potente, le chitarre rocciose sono sostenute da tastiere di stampo prog moderno altrettanto importanti. Il songwriting è diretto e anche i chorus seppur di buona fattura sono relativamente scarni.
“Never say Die” ha un piglio più catchy pur mantenendo un sound hard rock. Notevole il break centrale; sprazzi di epicità che non ti aspetti, conferma dunque dell’importanza del lavoro delle tastiere nel progetto.
“Blind” apre con un intro stupendo per poi cadere nell’anonimato, non riesce a coinvolgermi assolutamente, anche il chorus non risolleva le sorti di una traccia a mio avviso poco riuscita nonostante l’ottimo lavoro per ciò che concerne l’arrangiamento in se; purtroppo non basta.
“What You Make It” fortunatamente si ritorna su un livello qualitativo più che sufficiente. L’ugola calda e graffiante di Mitchell si intreccia a meraviglia con quella cristallina di Sue Willets dei Dante Fox. Il tutto ovviamente con una solida impronta dal taglio epico.
“Someone Like You” è la prima ballad, pregna di emotività e classe. Ricercata per quanto possa essere ancora una ballad tipicamente eighties, il lavoro delle tastiere risulta naturale seppur misurato; un ottimo sax impreziosisce il tutto con un bel fraseggio in coda.
“Our Song” è scanzonato e più diretto rispetto alle tracce precedenti, il classico pezzo pronto ad essere metabolizzato al primo ascolto, non memorabile o che possa lasciare il segno ma assolutamente godibile.
“Stone By Stone” altra ballad questa volta dal sapore elettroacustico. Non credo si possa definire riuscitissimo. Il problema non è negli arrangiamenti, né nell’esecuzione o interpretazione vocali comunque di spessore, a mio avviso è la scrittura del pezzo in se poco indovinata, il risultato è un senso di noia a cui non ci si può sottrarre.
“In Everyone Of Us” una delle tracce più riuscite al momento, originale, sperimentale quanto basta e trascinante con un chorus davvero trascinante complice arpeggiatori che come sempre riescono a far camminare anche un pezzo non eccelso; non è questo il caso, la traccia è riuscita pienamente e non presenta punti deboli.
“Wildside” è Hard Rock seventies, c’è voglia però di sperimentare nel cuore del pezzo che ha bisogno di un successivo ascolto per essere metabolizzato. Troppa carne a fuoco a mio avviso, senza una direzione ben definita; una di quelle tracce che potrà suscitare l’ilarità di alcuni piuttosto che le lodi di altri.
“Fire Me Up” blueseggiante e anch’essa ancorata a un songwriting anni settanta si presenta potente e trascinante, ben si sposa con il cantato abrasivo di Mitchell, malgrado un chorus non particolarmente fluido che mi risulta troppo forzato.
“Beggars Gold” ultima ballad del lotto e non credo si lasci ricordare nonostante possa risultare evocativa nelle strofe, anche in questo caso il cuore del pezzo non riesce a catturare fino in fondo ed è un vero peccato viste le ottime premesse.
“Take A Look At Me Now” maturo e retrò al tempo stesso, a tratti progressivo e vicino al mood dei seventies necessita di un ascolta più approfondito per essere capito, superato lo scoglio di una relativa immediatezza, potrà essere apprezzato per una discreta ricercatezza; se visto in questa ottica una delle tracce più riuscite.
“Welcome To The Revolution” in chiusura è monolitico, roccioso pur riuscendo a girare attorno a una linea vocale ruffiana. Non male, riesce a scivolare via piacevolmente suggellando un lavoro sicuramente sopra la sufficienza.
IN CONCLUSIONE
Mi sono ritrovato ad ascoltare un lavoro dalle sfaccettature più diversificate; cali di tensione presenti ce ne sono aimè, come ad onor del vero anche tracce che fortunatamente enfatizzano le qualità di tutti i musicisti coinvolti nel full. “Beggars Gold” paradossalmente forse avrà sofferto di un’eccessiva prolificità artistica del buon Mitchell; in origine furono scritti 22 pezzi!! Nda) che a tratti sembra voglia “vomitare” tutto questo processo di scrittura, che ripeto, a tratti porta ad un lavoro un po’ scollato fra una traccia e un’altra, ma comunque di sicuro spessore.
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