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Recensione

90/100

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Roxanne – Radio Silence – recensione

19 Novembre 2018 18 Commenti Giulio Burato

genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Rat Pak Records

Tracklist:

1. “Someone To Kill”
2. “Girls Alright”
3. “Super Bad” (ft: George Lynch)
4. “Thin Blue Line”
5. “Broken Chandeliers”
6. “Go Fuck Yourself” (ft: George Lynch & Doug Pinnick)
7. “Man In The Moon” (ft: Ray Luzier & Doug Pinnick)
8. “Without Us”
9. “Quarter To Four”
10. “I Don’t Want To Live This Way”
11. “First Mistake”

Formazione:

Jamie Brown – voce, chitarra e piano
Joe Infante: basso
John Butler: chitarra
Dave Landry – batteria

Ospiti:

George Lynch: chitarra in “Super bad” e “Go Fuck yourself”
Doug Pinnick: voce in “Go Fuck yourself” e basso in “Man in the moon”
Ray Luzier: batteria in “Man in the moon”

 

Correva l’anno 1986 quando io, adolescente ingenuo, m’innamorai del rock melodico degli Europe, Def Leppard, Bon Jovi e tutti i gruppi di quelle memorabili annate. Ero talmente “cotto” da quella fiamma viscerale verso il rock che, il quel periodo, compravo musicassette di gruppi anche sconosciuti, solo magari per aver letto due righe di recensione su qualche rivista del settore (Metal Shock, se non ricordo male).

Tra quei gruppi sconosciuti c’erano i presenti Roxanne, all’esordio discografico con l‘omonimo album di cui:

1. Ricordo ancora la copertina con quei pezzi di vetro su uno sfondo da “apparente” cartolina.
2. Ricordo ancora quel rock innegabilmente maturo composto, a quel tempo, da dei giovani di belle speranze.
3. Ricordo il fascino particolare di canzoni come “Sweet Maria” o “Cherry Bay”.
4. Ricordo la voce, bella e carismatica, di Jamie Brown, un po’ Steven Tyler, un po’ Eric Martin, un po’ Pat Monahan (Train.)

… E dopo tanti ricordi, poco più di trent’anni dopo, si riaccende la fiamma, verso questo gruppo che, magicamente, riappare dopo cosi tanto tempo.

Corre il giorno 26 ottobre 2018 e sugli scaffali o, per essere anche più attuali, sulle librerie di Spotify, esce “Radio Silence” grazie a Rat Pak Records, anticipato dai singoli “Super Bad” e “Someone To Kill”.
Passato il momento di sbandamento per l’inaspettata sorpresa, iniziano le note dell’appena citata “Someone To Kill”, canzone dal taglio alla Mr.Big dove si possono già assaporare la qualità di arrangiamenti e di produzione. Tali qualità sono amplificate in “Girls Alright”; un intro azzeccato è il preludio di una soave cadenza acustica che sfocia nell’elettrico ritornello. Top Song. Segue “Super Bad”, primo singolo rilasciato, che si fa apprezzare per essere effettivamente la più “bad” della release. Non da meno “Thin Blue Line”, costruita su una struttura più cadenzata. “Broken Chandeliers” invece incarna alla perfezione come una semi-ballad possa essere scritta e composta nel 2018. Il giro di chitarra prima del ritornello e la prova vocale di Jamie sono degni di lode.
La successiva e dinamica “Go Fuck Yourself” si avvale di un binomio illustre formato dal leggendario George Lynch, già apparso in “Super Bad”, e di Doug Pinnick (King’s X) come aiuto alla voce. Alla traccia numero sette ecco un marchio di fabbrica dei Roxanne: la cover. Dopo il successo di “Play That Funky Music”, presente nel debut-album, ecco la cover “Man in the Moon” dei The Scream, rielaborata e arricchita ancora dalla presenza di Doug Pinnick al basso e Ray Luzier (Korn) alla batteria. Con il trittico “Without Us” “ Quarter to Four” e la finale “First Mistake” si passa alla parte più bluesy e ricercata di “Radio silence” dove emerge il lavoro più intimista della band. In mezzo alle tre canzoni, ecco “I Don’t Want To Live This Way”, frizzante e ficcante tanto da spararla idealmente a tutto volume su una sfrecciante Chevrolet Camaro.

IN CONCLUSIONE

Sono passati trentanni dall’uscita del loro debut-album e mi chiedo sarcasticamente ora, dove fossero finiti i Roxanne. Sicuramente oppressi dal cambio dei generi musicali del tempo (grunge) e da svariati altri motivi, oggi i Roxanne tornano in punta di piedi, “nel silenzio delle radio”, ma con tanta classe da vendere alle nuove generazioni del settore.

© 2018, Giulio Burato. All rights reserved.

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