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Recensione

78/100

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Steve Perry – Traces – Recensione

17 Ottobre 2018 12 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Pop Rock
anno: 2018
etichetta: Fantasy Records

Tracklist:

01. No Erasin’
02. We’re Still Here
03. Most Of All
04. No More Cryin’
05. In The Rain
06. Sun Shines Gray
07. You Belong To Me
08. Easy To Love
09. I Need You
10. We Fly

Formazione:

Steve Perry – voce
Thom Flowers- chitarra
Tommy King – tastiere, hammond
Devin Hoffman – basso
Vinnie Colaiuta – batteria

Ospiti:

John 5 - chitarra

 

Steve Perry è la voce del genere melodic rock, e forse uno tra i migliori cantanti della storia della musica moderna. Ritrovarlo nuovamente sulle scene, ad oltre vent’anni dal suo improvviso addio, è a tutti gli effetti la più eclatante notizia che potesse arrivarci in questi anni di inatteso revival AOR. Siamo ancora tutti in lacrime, non c’è niente da fare.

Ma il nuovo album Traces è in grado di non sfiguare di fronte al pesante passato artistico di questo musicista? E può questo disco essere considerato come una delle migliori produzioni recenti del genere? La risposta è decisamente complessa, e necessita più che una qualche considerazione.

Intanto pensiamo a come si è arrivati a questa produzione. A riaccendere la fiamma è stato un fatto molto doloroso per l’artista, ovvero la morte della sua fidanzata Kellie Nash, malata di cancro e deceduta al capezzale del compagno nel dicembre del 2012. La promessa di non isolarsi mai più dagli altri – fatta alla donna in punto di morte – ha spinto Perry a rivedere interamente il suo rapporto con la musica, che è tornata ad essere la valvola di sfogo con cui reagire al fresco e inconsolabile lutto, e con cui ritrovare le energie dopo una operazione alla gola (per rimuovere una massa insolita, rivelatasi poi essere un melanoma) avvenuta nel maggio 2013.

Così, dopo essere riapparso su qualche palco in veste di ospite, ecco allora l’idea di iniziare la stesura dei brani che mano a mano sarebbero andati a strutturare il suo ritorno discografico. Visto il clima interiore tutt’altro che sereno e rilassato, è normale allora considerare come il mood generale di Traces non possa essere dei più allegri, spensierati, o solari. La stragrande maggioranza delle canzoni veste i suoni e le atmosfere delle ballad, intense, emozionanti, delicate, raffinate, a tratti rilassanti, intime e magnificamente arrangiate a cui il cantante qua e là ci aveva già abituati nel corso della sua carriera. Sono tutti brani suonati alla perfezione da assoluti professionisti, ben curati fin nei minimi dettagli sonori, impacchettati per essere semplicemente perfetti, ma alla fine non sono altro che dieci belle canzoni, e poco più. Tolto l’effetto amarcord, manca in questo disco il vero sussulto, manca il pezzo capolavoro, manca l’esplosione, l’emozione vera se non il brivido di risentire Perry all’opera. Ma soprattuto, è l’assenza quasi assoluta delle chitarre in primo piano, del ritmo deciso, dell’energia e del refrain puramente AOR, che ci demoralizza un po’, e che ci potrebbe finire per stancare già dopo un paio di ascolti ripetuti, richiedendo forse anche al fan più accanito un momentino di pausa per riprendersi da questo tutto tondo di emozioni sì sincere, sì vive, ma un po’ troppo cupe e sofferenti.

Per l’amor del cielo, il soul, il funk, il rock classico e in generale i generi che abbiamo visto essere parte del bagaglio musicale di Steve Perry sono tutti qui presenti, ma siamo molto più vicini allo stile del suo ultimo disco solista For The Love of Strange Medicine (1994) rispetto a una qualche registrazione dei Journey (eccezion’ fatta forse per alcune canzoni di Trial By Fire del 1996, e mi viene giusto in mente la conclusiva It’s Just The Rain).

Allora la certezza in Traces rimane dunque una sola: quella della resa vocale del Maestro, che va ben oltre la sufficienza. E’ facile riconoscere come il timbro magico di Perry, seppur invecchiato dagli anni, più roco e meno esplosivo negli acuti, sia ancora quanto di più bello si possa ascoltare anche nel 2018, oltre vent’anni dopo il suo primo addio al mercato musicale. E No Erasin’, traccia opener, primo singolo e video per questo album, è stata messa lì in vetta proprio per questo: per alzare nuovamente il sipario, e farci piangere per l’emozione. Non è un capolavoro, ma è un brano vivo, vivace, che permette a Perry di sfiorare i suoi acuti storici. Ed è diametralmente opposta al secondo singolo We’re Still Here, un pezzo molto più rilassato, intimo, solitario, non ancora una ballata, ma un brano interpretato e più immerso nel sound generale soft del disco.

Most Of All ha poi la completa veste della power ballad, e permette a Perry di rispolverare tutta la sua espressività, giungendo diretta al cuore di chi ascolta anche grazie a un refrain veramente da urlo. Il terzo singolo No More Cryin’ cerca invece di espolorare più degli altri il vero bagaglio musicale dell’artista, portandoci in viaggio tra le sue maggiori influenze musicali e regalandoci persino qualche accenno journeyano nell’assolo di chitarra, molto melodico. Infine, al giro di boa troviamo quella che è la più bella ballad di Traces: In The Rain. Facile capire a chi sia dedicata, e semplice comprendere quanto sia stato difficile per Steve lavorare a un pezzo così intimo e personale, così toccante. E’ un componimento semplice, tutto piano e voce (più qualche orchestrazione), ma indiscutibilmente di spessore.

Un altro buon acuto, di tutt’altra forma e sonorità, ce lo regala quella Sun Shines Gray che dirada le nubi con la sua ariosità, e che vede la frizzante chitarra di John 5 spingere e andare, fino a farci alzare sulle sedie e urlare di gioia. Ha un tratto un po’ bonjoviano, azzarderei pure. Wow! Nuovamente toccante, e palesemente dedicata a colei che fa ancora tanto sanguinare il cuore di Steve, è anche la ottima ballad You Belong To Me, d’incanto nei suoi suoni. La segue il motivetto pop (bello e riuscito) di Easy To Love, da ascoltare e riascoltare con i suoi cori e controcori nel refrain, che corona un tratto centrale del disco davvero ottimo, che porta a una piacevole cover dei The Beatles nella canzone I Need You, certamente genuina e ben interpretata, ma non tale da strapparsi i capelli di testa. Chiude questo Traces la traccia We Fly, che suona come un commiato molto solitario, sognante ma struggente che, tolta la spettacolare interpretazione di Perry, non ha molto però da aggiungere rispetto a quanto fino ad ora ascoltato.

IN CONCLUSIONE

Traces, lo dicono i dati di vendita, è il disco solista di Steve Perry di maggiore successo commerciale, con la sua posizione #6 raggiunta nella classifica Billboard. Segno della qualità del suo apparato promozionale, e in generale del grande entusiasmo scaturito da questo suo inatteso ritorno.

Non è però il suo migliore album. E’ un prodotto di qualità, ben cantato e ben eseguito, ottimamente registrato, che però non possiede alcun brano in grado di definirsi immortale, mozzafiato, unico. E’ una buonissima raccolta di bei brani, con qualche pezzo migliore, e qualche motivo meno riuscito. E’ da considerarsi però come un importante punto di ripartenza per una seconda parte di carriera che non potrà che essere di assoluto livello. Perchè la ruggine, beh, quella ce la siamo già tolta di torno tutta e in un colpo solo..

Bentornato Steve!!

© 2018, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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