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24 Maggio 2018 12 Commenti Nico D'andrea
genere: Hard Rock - AOR
anno: 2018
etichetta: Frontiers
Tracklist:
1 KEEP IT ALIVE
2 MANTIS ANTHEM
3 TIME CAN HEAL
4 39 YEARS
5 GRAVITY
6 GHOSTS OF THE PAST
7 DESTINY IN MOTION
8 THE LAST SUMMER
9 FOREIGN AFFAIR
10 SHADOW OF LOVE
11 FINAL DESTINATION
Formazione:
John Cuijpers – Voce
Tino Troy – Chitarre e Cori
Chris Troy – Basso e Cori
Andy Burgess – Chitarre e Cori
Hans in ‘t Zandt – Batteria
Contatti:
I Praying Mantis, pur avendone fatto parte, sono stati un’entità avulsa dalla storica NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal).
Il gusto melodico che ha da subito caratterizzato le composizioni dei fratelli Tino e Chris Troy si è spesso rivelato come una sorta di liquido di contrasto,capace di far emergere dal nobile sangue della spaventosa “Mantide” un’insospettabile DNA AOR.
È la classe sopraffina degli arrangiamenti costruiti in dischi imprescindibili come Cry For A New World ad avere guidato il combo inglese alla maturazione definitiva, espressa nel precedente magnifico Legacy. Un esempio di grandeur epica e melodica, figlia anche della miglior tradizione pop rock britannica.
Da queste stesse coordinate riparte Gravity, anche se l’opener Keep It Alive è un sentito omaggio ai discepoli più puri della NWOBHM.
Le chitarre “gemelle” di Tino Troy ed Andy Burgess aprono la strada ad un chorus per il quale vale solo un’aggettivo : Classico !
Ma se di DNA si tratta, è appunto negli episodi più AOR che i Troy e compagni sanno oggi esprimersi al meglio.
Time Can Heal, Foreign Affair sono pezzi raffinati con più di un richiamo a gruppi seminali del pop-rock inglese…Roxy Music in particolare.
Menzione particolare per lo splendido singolo Gravity, sostenuto dalle marcate linee di basso dell’ottimo Cris Troy e capace di crescere magnificamente nelle ammalianti armonizzazioni vocali del refrain.
Ritroviamo anche i Praying Mantis eleganti e maestosi nei passaggi più sostenuti di 39 Years e Destiny in Motion, dove torna protagonista con il suo caratteristico vibrato l’eccellente vocalist olandese John Cujipers.
Peccato invece per alcune esitazioni palesate in brani un po’ prolissi come Ghost Of The Past e Mantis Anthem, traccia N.2 del disco che personalmente avrei relegato in chiusura al platter. Il pezzo si presenta come una sorta di inno, dallo sviluppo sicuramente intrigante ma che cade su un ritornello piuttosto pacchiano.
Promettenti anche la ballata acustica da amarcord dei Seventies The Last Summer e la epic-piece conclusiva Final Destination, brani che finiscono però anch’essi per cedere in refrains dallo scarso mordente.
CONCLUSIONE
Le aspettative create dal precedente Legacy (per chi scrive un dei migliori dischi del 2015) potrebbero compromettere la valutazione di un disco comunque di valore come questo Gravity.
I fans più devoti troveranno (senza ombra di dubbio) in questo album tutto ciò che dei Praying Mantis hanno imparato ad amare.
Al recensore più distaccato spetta però l’onere di assegnare un punteggio. Punteggio obiettivamente conforme alla qualità generale di un disco sopra la media ma che non si attesta tra i migliori lavori prodotti dalla band britannica.
© 2018, Nico D’andrea. All rights reserved.
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