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26 Marzo 2018 4 Commenti Giulio Burato
genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Escape Music
Tracklist:
01. Silent Treatment
02. Rock And A Hard Place
03. Fires Of The Heart
04. Feel Like A Prisoner
05. Ten Days Of Hell
06. Dead Dog
07. Ghost Train
08. Devil’s Daughter
09. King Of The Hill
10. Get Me Out Of Here
11. No Giver, All Taker
12. Mystery Island
Formazione:
Jukka Ihme - chitarre
Tapani Tikkanen - voce, percussioni e chitarra ritmica
Mike Pohjola - tastiere
Tom Pohjola – basso
Ville Hanhisuanto – batteria
Prendo spunto da una mia precedente recensione, ossia l’omonimo album dei Degreed, dove ho figurativamente parlato di una partita a scacchi. Riparto proprio dalla partita a scacchi visto che la copertina del presente “Silent Soldiers” calza a pennello e sarà anche una delle poche note liete della release.
Prima di iniziare, faccio un passo, anzi una mossa indietro.
I Prayer provengono da Oulu ed esordiscono nel 2005 con l’ottimo “Wrong Address”, seguito nel 2012 dall’altrettanto valido “Danger In The Dark” (qui la recensione). Il gruppo è il frutto dell’idea di Tapani Tikkanen, vocalist che ha iniziato la sua carriera nei primi anni Ottanta con IC Rock e Tanna, formazioni con le quali effettuò centinaia di concerti in patria. Dopo un periodo di pausa, da vita ai Prayer, assieme all’amico e tastierista Jari Huvila.
In questo nuovo “Silent Soldiers”, uscito il 19 Gennaio per Escape Music , la band offre un rock melodico che unisce lo stile di Thin Lizzy, Saga, Treat, con alcuni tratti sinfonici dei Royal Hunt.
Con una mossa in avanti, torno sulla scacchiera dove a farla da padrona dovrebbe esserci la concentrazione. Scrivo dovrebbe in quanto, dopo alcuni ascolti, la stessa cala in maniera verticale ed i “silenti soldati” soccombono uno in fila all’altro. Il motivo di questa lenta disfatta nel “campo di gioco ” sono vari. La produzione risulta essere deficitaria, i suoni sembrano poco equilibrati e gli strumenti offuscati ; la voce del buon Tapani, produttore e scrittore dei testi, non sembra essere in grande spolvero, sicuramente non supportata dalla qualità produttiva.
Entrando nella scacchiera, le mosse sonore che rimangono impresse sono poche. Mi limito ad annotare la soft “No Giver, All Taker” e le più briose “Fires of The Heart” “Ghost Train” e “Get Me Out Of Here”; per curiosità uditiva, segnalo anche il cantato molto simile della traccia iniziale con l ‘ultima, seppure dissimili tra loro come approccio. Il resto della scaletta risulta essere privo di un reale cambio di marcia.
Scacco matto in poche mosse.
IN CONCLUSIONE
Il terzo capitolo dei Prayer non lascia il segno, anzi lo lascia, ma in negativo con una produzione latente, un sonwriting non eccelso e la mancanza di mordente nelle canzoni proposte.
Per una partita a scacchi più gradevole, rivolgersi ai cugini e sopra menzionati Degreed.
© 2018, Giulio Burato. All rights reserved.
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