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Recensione

87/100

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Houston – III – recensione

05 Gennaio 2018 14 Commenti Giulio Burato

genere: Melodic Rock / Pop Rock
anno: 2017
etichetta: Livewire / Cargo Records UK

Tracklist:

1. Cold As Ice
2. Everlasting
3. Dangerous Love
4. Lights Out
5. Amazing
6. To Be You
7. Glass Houses
8. Twelve-Step
9. Road To Ruin
10. Interstate Life

Formazione:

Hank Erix (Voce)
Calle Hammar (Chitarre, Cori)
Victor Lundberg (Tastiere, Cori)
Soufian Ma'Aoui (Basso)
Oscar Lundström (Batteria)

Contatti:

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Inizio l’anno dando i numeri: prima recensione dell’anno, dodicesima da inizio 2017, primo compleanno in sella alla redazione di Melodic Rock e, dulcis in fundo, “III” album degli scandinavi Houston. Mi concentro ovviamente sull’ultimo numero, ossia da questa recensione che colpevolmente esce solo ora.
Il combo svedese esordisce nel 2010 con l’omonimo debut album e riscuote subito sia consensi dal pubblico sia un riscontro positivo dalla critica del settore grazie ad un AOR piacevole, ricco di strutture fresche e brillanti come, per esempio, le canzoni “1000 Songs” e “Hold On”.
Tre anni dopo, ecco il secondo capitolo, intitolato appunto “II”, dove si apprezza nuovamente la qualità della proposta musicale dei 5 ragazzi scandinavi; “I’m Coming Home”, “24 hours” e “On The Radio” tra le migliori tracce del lotto.
Eccoci dunque ai giorni nostri con la terza uscita che, per loro logica, si intitola “III” dopo un intermezzo di un paio di EP tra cui “Relaunch”, album infarcito di cover.

Si inizia con la poliedrica “Cold As Ice” dove la bella voce di Hank Erik scalda le note del freddoloso titolo.
La successiva “Everlasting” mi ricorda qualcosa dei Roxette dei tempi che furono anche se la canzone è dinamica con cori intrecciati e di facile appeal.
“Dangerous Love” è il primo singolo con video: uno spruzzo di Def Leppard con venature molto pop, un chorus che sale a dismisura e un buon giro sull’assolo sono gli ingredienti di un altro canzone da pollice in su.
Lights Out” è una soft ballad che cala miele per i padiglioni auricolari: il coro ti si stampa subito addosso come un pugno ben assestato. Ottimo lavoro al pianoforte di Victor Lundberg. Una delle mie preferite.
“Amazing” invece ha quel sapore di già sentito ma che comunque continueresti a sentire all’infinito: canzone che si adagia sul riff centrale di Calle Hamar, sul solito prezioso lavoro di Victor e da un altro coro che non passa inosservato.
Al giro di boa troviamo “To Be You” un’altra perla con reminiscenze pop (Coldplay): una semi ballad intarsiata di keys sopraffine che sale alle vette del cielo per coralità e fascino.
Segue a ruota un altro gioiellino Aor: “Glass Houses” è una canzone di classe; delicata e leggera come poche altre e con un coro memorabile. Una delle top songs del lotto.
La complessa “Twelve Step” con giri e incroci strumentali ben calibrati è il preludio ad un’altra canzone che adoro: “Road To Ruin”, solare ed effervescente. Ricca di tastiere nel coro, sublime all’ascolto, e di un bel lavoro di chitarra nell’assolo.
Chiude l’opera “Interstate Life, una canzone che fa viaggiare la mente e che mi porterei volentieri in viaggio in una lunga strada americana: sognante.

IN CONCLUSIONE

Terzo capitolo e III centro per gli svedesi Houston che si completano dai bravi Oscar Lundström alla batteria e da Soufian Ma’Aoui al basso.
Una qualità ed omogeneità di canzoni che li rendono fiore all’occhiello di un genere che stenta, per certi versi, a mantenersi su livelli apprezzabili.
Un bel colpo Aor sul finire del 2017 che ci aveva regalato pochi fuochi artificiali come quelli a nome Houston.
Bravi!

© 2018, Giulio Burato. All rights reserved.

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