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08 Febbraio 2017 10 Commenti Iacopo Mezzano
Non chiedetemi quale strana malattia mentale mi spinga a presentarmi ai cancelli – sempre e comunque – ore e ore prima dell’inizio di ogni concerto a cui partecipo.
Non lo so, sarà che l’attesa è essa stessa il piacere, come disse Gotthold Ephraim Lessing (ma ora lo recita anche una nota pubblicità televisiva), o sarà una qualche sorta di masochismo che si impossessa di me ogni volta che ho un biglietto in mano, fatto sta che anche in questa occasione mi metto in coda al freddo davanti al locale Fabrique di Milano alle ore 15 in punto. Esattamente sei ore prima che gli statunitensi The Pretty Reckless inizino anche solo lontanamente a pensare di mettere piede sul palco della venue milanese.
La cosa buffa è che non è che sono né primo, né uno dei primi, a mettermi in fila. No, perchè là fuori trovo già almeno una cinquantina di adolescenti – e per adolescenti intendo soprattutto ragazze dai 15 ai 18 anni, o poco più, accompagnate dai loro fidanzatini o dai loro genitori, e tutte truccate come la loro beniamina Taylor Momsen (la giovane leader del gruppo in questione, per chi non lo sapesse) – che fremono di eccitazione in coda lungo le transenne poste davanti all’ingresso. Roba che, per un gruppo hard rock, non vedevo davvero da diverso tempo.
Anzi, che forse non avevo visto mai.
Preso da curiosità – o meglio da noia viste le quattro lunghe ore di attesa che mi aspettano – mi metto allora un po’ ad ascoltare i discorsi musicali di alcune di loro. Anche perchè l’occasione è sempre buona per una bella indagine sui gusti musicali dei giovani di oggi (PS: con i miei 27 anni di età, a sto giro, devo tirarmi fuori da questa categoria. Potevo quasi essere loro padre, capitemi.). Bene, come risultato di quanto ho avuto il piacere di sentire, ho avuto la triste conferma di ogni più nefasta attesa: salvo qualche rara eccezione, quasi tutte queste ragazzine (ma anche i loro fidanzatini) non andavano oltre alla scarsa – scarsissima – cultura media rock dell’ascoltatore italiano. Tanto che, in quattro ore là fuori in fila, ho sentito nominare più volte i System of a Down, i Guns N Roses, i 30 Seconds to Mars, i Metallica, i Nirvana, i Rage Against The Machine, i Green Day, gli Avenged Sevenfold e gli altri gruppi di tendenza a loro simili, di quante un politico citi lo spread e la crisi, il papa la misericordia, o il nostro boss Denis Abello i Vega (giusto per avere un paragone più calzante per questa pagina, haha). Fatto questo che, ahimè, mi ha fatto nuovamente prospettare un futuro nero come la pece per la nostra musica, e per tutti i suoi derivati lontani dalla dicitura mainstream.
Ora mi chiedo (e poi concludo e passo davvero a parlarvi del concerto, lo giuro), ma è possibile che nessuna di loro si sia messa anche solo a spulciare i tanti gruppi storici che il loro idolo Taylor Momsen cita sovente nelle sue interviste?! Perchè – e questo è un fatto specifico dell’Italia – c’è così poca voglia di andare oltre i trend e le mode?! Perchè continuiamo a mostrarci come un popolo di lobotomizzati, cloni tutti uguali gli uni gli altri, incapaci di andare oltre al pensiero comune, e peggio ancora di svilupparne uno proprio? Di cosa abbiamo paura? Di essere etichettati come dei diversi?! Ma ben vengano i diversi, allora.. eccheccavolo.
Comunque, l’ho promesso, bando alle ciance e spazio adesso alla musica. Ecco allora che, puntuali, gli addetti del Fabrique hanno aperto i cancelli del locale alle 19, togliendoci dal freddo milanese che inziava a essere insistente. Dopo aver lasciato lo zaino e la giacca nel guardaroba, mi sono trovato poi un bel posticino centrale in sesta/settima fila da cui godermi al meglio lo spettacolo, con la visuale totalmente libera sull’asta del microfono vista la statura davvero bassa delle ragazzine davanti a me. Ottimo.
Sempre puntuale, alle 20 in punto è iniziata la musica, con gli opener The Cruel Knives, un giovane gruppo inglese con un solo EP all’attivo, a salire sul palco per intrattenere il quasi coetaneo pubblico italiano fino alle tanto attese ore 21 affidate agli headliners. Ottima peraltro la prova di questi ragazzi, autori di un rock moderno e dalle sfumature hard rock di immediato appeal grazie a ritornelli molto radiofonici, con un cantante belloccio, carismatico e molto bravo vocalmente, e un bravo chitarrista al seguito (interessanti le sfumature bluesy nei suoi assoli). I loro quaranta minuti scorrono via senza intoppi, e con un bel supporto della folla che fa felici i musicisti. Viste le urla isteriche di alcune giovani intorno a me hanno fatto colpo. Saranno famosi?!
Ho ancora nelle orecchie gli acuti devastanti gridati dalle ragazzine nel momento in cui si sono spente le luci ed è iniziato l’intro d’apertura dello show dei The Pretty Reckless. Anche perchè nei mei padiglioni auricolari fischia tutto ancora adesso. Fanatismo puro per l’intera ora e mezza di concerto, con tutti i testi cantati a memoria, tutte le mosse mimate, tutte le canzoni anticipate da.. acuti. Respect.
Isolando con la mente le voci delle supporters, ho il ricordo nitido di una prestazione maiuscola da parte di un gruppo definibile ancora relativamente giovane (nascono dieci anni fa, e hanno all’attivo tre dischi), ma che si muove già come un gigante, con una padronanza del palco eccellente non solo della sua frontwoman, ma anche dei suoi compagni. E, anche se le attenzioni sono per forza di cose tutte concentrate sulla bellezza mozzafiato – ma soprattutto sulla bravura – della Taylor, il chitarrista Ben Phillips riesce a farsi notare con alcuni bei riff e un bel momento solista, al pari del roccioso bassista Mark Damon e del batterista Jamie Perkins, sul finale autore anche lui di un assolo davvero divertente.
Se l’opener Follow Me Down ha il compito di rompere le acque con il pubblico, la seconda in scaletta, Since You’re Gone, lo fa letteralmente scatenare. Una bolgia. Poi, la Momsen si prende sulle spalle definitivamente la scena e tira fuori dal cilindro una ottima prova vocale per promuovere il nuovo singolo Oh My God, prima di intrattenersi in una breve chiaccherata studiata con il pubblico in apertura di Hangman. Ecco, se si vuole trovare un difetto alla ragazza, si deve far notare la poca spontaneità che lei ha nel rapportarsi con i fans (dicono che due ore dopo la fine del concerto sia scappata via senza neppure salutare o rilasciare autografi ai pochi rimasti ad attenderla al freddo). Spero che l’essere diventata a tutti gli effetti una rockstar non le abbia fatto montare eccessivamente la testa. Non sarebbe né la prima, né l’ultima. Perciò, andiamo oltre..
Nonostante una sbavatura del drummer, appare riuscita anche la resa live di una Make Me Wanna Die molto emozionante e tratta dal primo album, come anche la seguente My Medicine, letteralmente urlata dal pubblico. Si torna poi al nuovo platter con una Prisoner molto matura, che mette bene in mostra le influenze rock classiche della Momsen e compagni, e che lascia spazio alla potente Sweet Things, estratta dal secondo disco Going to Hell. Si torna ancora agli esordi con Light Me Up, prima che il lento melodico Who You Selling For calamiti tutte le attenzioni sulla prestazione emozionale della Momsen, abile nel trasmettere al pubblico il sentimento del pezzo.
Da qui in poi, ci sarà un crescendo qualitativo davvero notevole. La nuova canzone Living in the Storm si svela come un possibile futuro cavallo di battaglia per il gruppo, vista anche la sua resa on stage praticamente perfetta e pari a quella già ottimale mostrata su disco. Just Tonight, l’ultima ad essere selezionata dal primo CD, viene cantata come un vero e proprio inno generazionale dalla giovane folla, e prepara le ugole per una Heaven Knows composta, già di per se, per essere corale, e che live ritrova la sua veste più pura, unendo la band sul palco con la gente ai piedi dello stesso. Wow. Infine, la rabbia cieca della feroce Going to Hell scatena anche qualche timido pogo metallaro, aprendo a quella Take Me Down che ho sentito citare praticamente da tutti come traccia più bella del nuovo album del gruppo. Anche se non sono d’accordo con questa tesi, trovo la sua resa dal vivo splendida, e quindi.. va bene così. Chiude infine l’ora e mezza di musica il bis affidato a Fucked Up World, intermezzata dal suddetto solo di batteria, che porta la Momsen e soci a lasciare, un po’ per volta, il palco. Salutati, ancora una volta, dalle grida dei loro fans scatenati.
A luci spente, i The Pretty Reckless sono perciò riusciti a dare un senso alle grandi aspettative che nutrivo nei loro confronti. Sul palco si sono dimostrati rodati, maturi, capaci, e tecnici. In più, hanno una frontwoman come Taylor Momsen che, diciamolo, ad oggi sulle scene non ce l’ha nessuno. In lei si identificano infatti in tutto e per tutto le giovani ma, attenzione!, riesce ad attirare anche i maschietti (chissà come..) e a trovare consensi negli ancora pochi adulti presenti ai suoi concerti, grazie soprattutto alla sua perfetta resa vocale. Insomma, a dirla breve, è tanto bella quanto brava.
L’insieme di tutti questi aspetti può certamente bastare per far diventare questo gruppo il futuro del genere hard ‘n’ heavy. Bisogna soltanto che se ne convicnano ancora un po’ gli adulti, o i ragazzi della mia età. Poi, per i The Pretty Reckless sarà solo un sentiero di gloria..
Setlist:
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