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18 Agosto 2016 3 Commenti Matteo Trevisini
genere: Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Spitfire Music / SPV
Tracklist:
1. Long Way To Go
2. We All Fall Down
3. Song And A Prayer
4. Mainline
5. Make Some Noise
6. Fortunate Son
7. Last Time I Saw The Sun
8. Mine All Mine
9. How Does It Feel
10. Freedom
11. All The Same
12. Join Together
Formazione:
Brian Tichy - batteria
David Lowy – chitarre
John Corabi – voce
Doug Aldrich - chitarre
Marco Mendoza - basso
Contatti:
http://thedeaddaisies.com/
https://www.facebook.com/TheDeadDaisies/
Arrivati a questo punto inizia il difficile…dopo la botta improvvisa (…e imprevista!) di popolarità e consensi giunti l’anno scorso con il loro secondo album “Revoluciòn” (qui la recensione), senza ombra di dubbio uno dei migliori dischi usciti nell’anno del signore 2015 in ambito classic rock i Dead Daisies si sono fermati al termine della montagna russa di tour in giro per il mondo, tra festival e decine di date nei club. Persi ad inizio anno i due “gunners” Richard Fortus e Dizzy Reed, chitarrista e tastierista/organista, per un attimo si sono trovati probabilmente a boccheggiare… trovata una stabilità di line-up, scritte le canzoni giuste e trovata la corretta alchimia tra i musicisti coinvolti ora se ne vanno due colonne fondamentali delle margherite morte… che si fa ora ???? John Corabi (Mötley Crüe, Union, The Scream), David Lowy (Red Phoenix, Mink), Marco Mendoza (Thin Lizzy, Whitesnake) e Brian Tichy (Pride & Glory, Slash’s Snakepit, Ozzy Osbourne, Lynch Mob, Foreigner) non si sono persi di sicuro d’animo e si sono rimboccati le maniche avendo l’onore di dare il benvenuto tra i propri ranghi niente poco di meno che Dough Aldrich (House of Lords, Whitesnake, Dio), uno che negli anni ha dimostrato che ogni canzone che viene baciata (…o graffiata!) dalla sua Gibson si trasforma in oro!
…ed effettivamente la chitarra grassa e potente di Dough è palpabile fin dall’iniziale (..non che primo singolo) Long Way To Go… niente di nuovo, niente di rivoluzionario, solo del semplice e fottuto classic rock fatto maledettamente bene!
John Corabi sguazza che è un piacere con la sua splendida voce donando profondità interpretative che pochi cantanti possono permettersi (…Crab è un singer che ha il potere di cantare perfino l’elenco telefonico e renderlo magico!). I suoni ruvidi e sporchi del rock americano dei seventees riecheggiano nella seguente We All Fall Down… equilibrio perfetto tra la voce muscolare di Crab, i riffs blues e le potenti melodie ad alta gradazione alcolica. Brian Tichy picchia come un pazzo sostenendo la sezione ritmica insieme a Marco… sentire per credere in Song And A Prayer, una canzone grassa come una chiazza d’olio sull’asfalto sotto il sole ma che al momento del chorus si apre come un ventaglio… la produzione cristallina di Marti Frederiksen (Aerosmith, Def Leppard, Scorpions, Mötley Crüe, Buckcherry) ripulisce un po’ i suoni sporchi e grezzi del disco precedente ma non fa perdere un’oncia di mordente alla nuova line-up. Veloce e cattiva come una frustata in piena schiena è Mainline dove il riffing tarantolato di Doug dà la scossa ad una canzone che probabilmente dal vivo sarà una delle più divertenti e sudate delle set list future. La title track Make Some Noise è un brano cadenzato in pieno stile anni ’80 che nonostante la potenza ed un ottimo assolo è il passaggio più “normale” e banalotto di tutto il disco… niente che non abbiamo già sentito fatto in modo più autorevole in passato. Ma è un attimo… I Creedence Clearwater Revival dell’immenso John Fogherty vengono omaggiati con una sentita cover del classico “evergreen” Fortunate Son con un ritmo più veloce e vibrante dell’originale.
Last Time I Saw The Sun parla della vita in tour e dell’essere zingari in giro per il mondo nel nome del rock’n roll ed è un’altra grande melodia che si incolla addosso al primo ascolto… C’è tutto l’amore e la passione per gentaglia della risma di Montrose, ZZ Top, Bad Company, Grand Funk… l’hard blues americano di Mine All Mine ne è la prova!
Il sentiero polveroso è quello e continua imperterrito nella sensuale e sporca How Does It Feel. Ormai la band ha il pilota automatico inchiodato alla massima potenza… e si diverte, accipicchia se si diverte !!! …la scioltezza, le dinamiche ed il feeling strabordante anche nella vitaminica Freedom oppure nella frastornante melodia di All The Same.
Chiude Join Together degli Who, seconda cover che omaggia il passato dei grandi, la band ha preso ormai la piacevole abitudine di inserirne un paio a disco… se vengono cosi bene perché non farlo ?
IN CONCLUSIONE
I Dead Daisies superano a pieni voti il duro esame: ora sono una vera band con una propria identità e non più una all star band di vecchie glorie che girano in tour per passare il tempo. Dopo aver piazzato due colpi da KO nel giro di poco più di un anno come Revoluciòn e questo Make Some Noise possiamo dormire sonni tranquilli
…le margherite morte in realtà… sono più vive che mai !!!!
© 2016, Matteo Trevisini. All rights reserved.
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