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Recensione

85/100

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Cats In Space – Too Many Gods – recensione

16 Settembre 2015 9 Commenti Nico D'andrea

genere: Pomp Rock/AOR
anno: 2015
etichetta: Harmony Factory/Cargo Records

Tracklist:

01. Arrival
02. Too Many Gods*
03. Stop
04. Last Man Standing
05. Mr. Heartache*
06. Unfinished Symphony
07. Schoolyard Fantasy
08. The Greatest Story Never Told*
09. Only In Vegas*
10. Man In The Moon*
11. Five Minute Celebrity
12. Velvet Horizon*

* migliori pezzi

Formazione:

Greg Hart - chitarre, voce, sintetizzatori
Paul Manzi - voce
Steevi Bacon - batteria, percussioni
Jeff Brown - basso, cori
Andy Stewart - piano, sintetizzatori, vocoder, wurlitzer

Ospiti:

Mick Wilson - cori, voce ospite, tastiere
Greg Camburn - saxofono
Janey Bombshell - cori
Mike Moran - Orchestra arranger and performer

 

Siete davvero certi che non esista una macchina del tempo ?
Beh…forse non in questo pianeta, ma lassù nello spazio vi assicuro, se ne può trovare traccia.
E’ proprio in viaggio verso la stratosfera AOR a bordo del sinuoso incrociatore di MR.It che mi sono imbattuto in una navicella di misteriosi “gatti spaziali”, scoprendo così al suo interno l’esistenza del tanto anelato marchingegno.
Pronti allora ad un salto nel futuro ?
Spiacente di deludervi ma per chi volesse provarne l’ebrezza si tratterà di un bel balzo indietro nel tempo.
“Cats In Space” è il monicker scelto dal comandante Greg Hart (Asia, Mike Oldfield) per questa sua nuova missione : Riportare sul nostro pianeta la forma più originale ed atavica di AOR! Per assicurarne il buon esito Mr.Heart ha reclutato un’equipaggio dall’invidiabile pedigree artistico :
Dean Howard (T’Pau, Ian Gillan), Jeff Brown (Sweet), Steve Bacon (Robin Trower Band), il tastierista Andy Stewart ed il vocalist Phil Manzi (altra grande sorpresa di questo 2015 con John Cujipers dei Praying Mantis).

Dopo l’intro spaziale di “Arrival” si parte con il passo leggiadro del pomp-masterpiece “Too Many Gods”. Su un serrato ma misurato riff di chitarra si ergono tastiere ed archi (trademark di molti “prime movers” della scena britannica come i Babys di Sir John Waite, “Broken Heart” era) che sfociano poi in un crescendo di cori capaci di togliere letteralmente il fiato. La performance di Paul Manzi è da Premier League AOR. Grande intonazione e pulizia vocale come esigono i dettami del Verbo melodico.
Piuttosto convincente “Stop”, con la sua base ritmica twist la cui impronta diventa però fin troppo marcata nella seguente “Last Man Standing”.
Il primo singolo “Mr.Heartache” rimette subito le cose a posto.
Ancora un refrain irresistibile ed una cura delle armonizzazioni vocali che non si ascoltava da tempo. Il disco come avrete già capito è vocalmente molto molto solido grazie anche al massiccio contributo dello special guest Mick Wilson (Lionel Richie,Alyson Moyet,Cher). Wilson è anche co-autore con Hart di alcune tra le tracce più riuscite dell’album, diventando a tutti gli effetti una sorte di settimo membro di questo formidabile ensemble inglese.
Salto a piè pari “Unfinished Simphony” che dopo un promettente intro piano e voce si perde in un vortice un po’ convulso di chitarre e piano “rock’n’roll”.
Poco male perchè con “Schoolyard Fantasy” si torna subito a respirare quell’atmosfera retrò che si rivelerà alla fine l’elemento distintivo del platter.
Un sax accompagna chitarra acustica e piano alternandosi ad un chorus celestiale che più 70’s di così non si può.
Un pezzo soave,talmente “leggero” da sembrare preparatorio alla magnifica mini suite “The Greatest Story Never Told”, 7 minuti di pura magia Classic (Pop) Rock.
La suggestiva intro pianistica, con Manzi e Wilson a dividersi le lead vocals, sembra il preludio ad una mega ballad in stile Sheriff o Styx ma il brano ha un’improvvisa accelerata alla Survivor prima maniera con l’orchestra sinfonica arrangiata da Mike Moran (Queen, David Bowie) ad incalzare in sottofondo. Altra pausa struggente ed altro stacco con tanto di percussioni semi-Motown. Il finale è una battaglia d’asce tra Greg Hart e Dean Howard. WOW !
Impossibile resistere all’andatura ed al refrain di “Only In Vegas”, un uptempo agli albori West Coast. Il solo di chitarra baritona di Howard è l’ennesima chicca vintage di un’album che nonostante gli inevitabili (e palesemente dichiarati) riferimenti al passato mantiene una freschezza ed una spontaneitˆ sorprendenti.
Il tempo sembra veramente fermarsi sulle note dello splendido e sognante slow “Man In The Moon”. Paul Manzi divide ancora il ruolo di voce solista con Mick Wilson, sullo sfondo vecchi synth, mini Moog ed un assolo siderale di chitarra ci trasportano su un pianeta lontano dal quale non vorremo più far ritorno.
“Five Minute Celebrity” cerca di alzare volume e ritmo rischiando di rompere il magico mood del disco.
Poco male è già ora di tornare ed i due minuti (troppo pochi) di “Velvet Horizon” sono l’emozionante commiato alla fine di un viaggio fatto di sensazioni che credevamo ormai sopite nel tempo.
Il trasmettitore del comandante Hart e del suo equipaggio emana ora un segnale che sembra arrivare da una galassia lontana. Non ne conosciamo le coordinate precise ma è dato a sapere per certo che da qui a poche settimane l’affollata navicella atterrerà sulla terra.
Prenotate allora il vostro posto in prima fila. Non capita tutti i giorni di poter viaggiare in una macchina del tempo.

IN CONCLUSIONE

Questo “Too Many Gods” non è con ogni probabilità un disco per tutti ed alcune incertezze stilistiche in un paio di episodi, impediscono all’album di raggiungere una valutazione di eccellenza assoluta.
Resta il fatto che esso rimane un lavoro assolutamente imperdibile per gli amanti delle indimenticabili sonorità dei 70’s ma altresì fresco da poter attirare qualche giovane ascoltatore di più larghe vedute.
Per me uno degli highlights di questo avvincente 2015.

© 2015 – 2018, Nico D’andrea. All rights reserved.

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