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Recensione

85/100

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Toto – Toto XIV – Recensione

17 Marzo 2015 42 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Aor
anno: 2015
etichetta: Frontiers

Tracklist:

01. Running Out Of Time
02. Burn
03. Holy War
04. 21st Century Blues
05. Orphan
06. Unknown Soldier (for Jeffrey)
07. The Little Things
08. Chinatown
09. All The Tears That Shine
10. Fortune
11. Great Expectations

Formazione:

Steve Lukather - Guitar and Vocals
David Paich - Keyboards and Vocals
Steve Porcaro - Keyboards and Vocals
Shannon Forrest - Drums
Joe Williams - Vocals
David Hungate - Bass

Contatti:

Official Website: http://www.totoofficial.com/
Official Facebook: https://www.facebook.com/totoband
Official Twitter: https://twitter.com/toto99com

 

Finalmente ci siamo! Ma dopo quale prezzo..

Tra un pugno di giorni sarà disponibile nei negozi di tutto il mondo Toto XIV, il primo album dei leggendari Toto contenente solo materiale inedito da Falling In Between del 2006. Una festa globale, che però è stata rovinata giorni fa dalla triste notizia dell’addio al mondo terreno del bassista Mike Porcaro, da tempo malato di SLA. Per lui si aprono le porte dell’eternità nel grande Paradiso dei Musicisti, e a lui è interamente dedicata questa mia recensione, nel rispetto di un componente fondamentale per la storia di questa band, e del genere AOR tutto.

In un mondo stracolmo di oscurità e di dolore, servivano i Toto a riportare un po’ di serenità e luce, lavorando a un disco come sempre elettrico, godibilissimo, divertente e dal mood assolutamente positivo, che rasserena fin dal suo pronti-via gli animi di tutti. Inutile parlare della tecnica dei nostri, rimasta totalmente inalterata negli anni, quanto dell’eccezionale lavoro (seppur meno graffiante che in passato) di Steve Lukather alla chitarra e alla voce, e poi di David Paich e Steve Porcaro alle tastiere e ai cori. Il palmo dei giganti si sente sempre, potete starne certi!
Anche il cantante Joseph Williams tira fuori dal cilindro una prova vocale di tutto rispetto, carismatica e intonata, e il ritorno del bassista fondatore David Hungate è pura manna dal cielo, visto il groove enorme di cui può vantarsi il platter. Infine Keith Carlock, alle pelli, riesce nell’arduo compito di non far rimpiangere i suoi più illustri predecessori, rendendosi autore di una prova determinante per la buona riuscita del disco, e che lo rende “silenzioso” protagonista dell’opera. L’unica nota di leggero demerito, in questa mia analisi tecnica del disco, va ai suoni, validi e spesso sopra la media, ma non così precisi e inimitabili come li si era ascoltati in passato (qualcuno vuol citare Tambu?). Un peccato veniale, che però mi costringe già a rosicchiare qualche punticino (uno 0.5) al giudizio finale.

L’ultimo decimo a cadere, che porta al comunque positivissimo punteggio di 8.5 con cui voglio accompagnare questa release (attirandomi probabilmente le critiche degli appassionati, guidati dal nostro boss Denis che da tempo urlava a un altro 10 in pagella, eheh), è figlio di una tracklist a tratti davvero sensazionale, ma che soffre di alcuni episodi leggermente sottotono, quantomeno per una band di tale portata storica. Già l’opener Running Out Of Time, dominata dalla chitarra di Luke e forte di un buon ritmo cavalcante, e Burn, soffusa e rarefatta prima dell’esplosione melodica finale, sono canzoni che non riescono a raggiungere l’intensità del capolavoro e terzo brano Holy War, senza dubbio uno dei frammenti più riusciti del lotto grazie alla sua ariosità fuori norma, di pura matrice Toto fine anni’70. Anche la seguente 21st Century Blues poi, nonostante il suo bel groove, appare in fin dei conti un pezzo non così esorbitante come invece è il singolo Orphan, nuovo assoluto masterpiece della storia del gruppo, che avete già avuto modo di sentire e risentire grazie al video disponibile a pié di pagina. Onestamente, un pezzo con un testo così ispirato, abbinato una melodia così iper-ballabile, mi toglie letteralmente il fiato. Punto.

Iniza ora, dopo la discreta ballad Unknown Soldier (for Jeffrey), quella che per il sottoscritto è la migliore metà del disco. The Little Things è un pezzo ai confini del pop, dolce e delicato, una nuova hit che vola sulle ali della melodia e del bellissimo ed emozionante cantato di Steve Porcaro. Il westcoast puro e incontaminato di Chinatown ci riporta d’un tratto dritti negli anni’80, tra cori d’elité, un ritmo frizzante, e arrangiamenti che solo questi maestri della musica potevano comporre, e che portano alla creazione di quello che probabilmente sarà considerato dai più come uno dei brani dell’anno.
Un duetto di canzoni meraviglioso, che inaspettatamente diventata terzetto magico con l’arrivo di All The Tears That Shine, altro pezzo vicino al pop, ancora delicato, che strizza l’occhio agli ’80s americani colmi di poetici tramonti cremisi, e avventure romantiche in riva ad una spiaggia.

Chiudono infine il platter la buona Fortune, che decolla grazie all’energia del suo refrain, e la finale Great Expectations, una ottima canzone multicolore, varia, quasi sperimantale, e una nuova hit da segnare nel repertorio del gruppo, ricca come è di sensazioni ed emozioni che girano in cerchio tra i battiti potenti e precisi della sua batteria.

IN CONCLUSIONE

Toto XIV non è forse un album immediato e facile come altri nella carriera di questo leggendario gruppo, ma è sicuramente un tassello brillante e largamente soddisfacente di una discografia unica, da sempre fuori dal coro per l’estro e la tecnica enorme dei suoi protagonisti. Così, nonostante qualche calo compositivo piazzato qua e là lungo la tracklist, questo nuovo album conferma il talento dei Toto e il loro ottimo stato di forma. Piace, e si fa ascoltare più e più volte senza stancare, e anzi, mostrando ad ogni ripetizione nuove sfumature inedite e nuovi dettagli da scoprire.

Non è semplice, ma porta la luce nel buio. E’ unico: è Toto XIV!

© 2015 – 2022, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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