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24 Febbraio 2015 18 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers Music
Tracklist:
01. Back On My Trail
02. Turn Back Time *
03. You’re Not Alone (Feat. Arnel Pineda) *
04. Locked Out Of Paradise
05. Way To The Sun (Feat. Neal Schon) *
06. Dream On
07. Don’t Walk Away
08. Here Forever *
09. Strangers To This Life
10. Better World
11. How To Mend A Broken Heart
12. In The Name Of The Father (Fernando’s Song) *
* migliori pezzi
Formazione:
Deen Castronovo: voce principale, batteria
Jack Blades: basso, voce (traccia 2, 5)
Doug Aldrich: chitarre
Ospiti:
Alessandro Del Vecchio: tastiere, cori, voce (traccia 5)
Arnel Pineda – voce in duetto con Castronoco (traccia 3)
Neal Schon – solo di chitarra (traccia 5)
Journey, Bad English, Ozzy Osbourne, Whitesnake, Dio, Night Ranger e Damn Yankees! No, non sto elencando alcuni dei cardini su cui ruota la storia dell’hard rock e del melodic rock, ma semplicemente ho snocciolato alcuni Assi che i Revolution Saints si trovano in mano in questa loro partita sul tavolo da poker dei generi sopra citati. Impressionante vero?
Progetto nato per mano del presidente Serafino Perugino della Frontiers Music e che vede coinvolti tre pesi massimi del genere come Deen Castronovo (voce principale e batteria – Journey, Bad English, Ozzy Osbourne), Jack Blades (voce e basso – Night Ranger, Damn Yankees) e Doug Aldrich (chitarre – Whitesnake, Dio, Burning Rain). Se a questo aggiungiamo come quarto membro “nascosto” il nostro Alessandro Del Vecchio, qui in veste di songwriter, produttore nonchè tastierista, voce e cori allora si capisce come le aspettative di un album come questo debutto dei Revolution Saints siano in grado di far fremere il cuore di ben più di un appassionato!
Ultima chicca è finalmente trovare Deen Castronovo, conosciuto soprattutto per essere il batterista dei Journey, dare finalmente il suo imprint vocale ad un’opera come questa… ed era ora direi, trent’anni di carriera e finalmente la sua splendida voce trova ora un pulpito da cui esplodere verso la folla.
Incredibile pensare come questo Revolution Saints sia la prima vera prova alla voce di Castronovo, ugola intensa, vibrante ed emozionante in grado di adattarsi perfettamente all’AOR e se ben foraggiata e seguita sicuramente in grado da qui in avanti di ritagliasi un suo ruolo come voce di primo piano in questo genere musicale.
L’infilata dei primi due pezzi Back On My Trail e Turn Back Time confuta questa mia teoria e riempie l’aria di riff, melodie e della splendida voce di Castronovo. Sulla distanza vince la bella Turn Back Time giocata su cori e tastiere maggiormente dilaganti e sulla bella dualità giocata sulle corde vocali di Castronovo e Blades.
You’re Not Alone si insinua come una ballata giocata sul piano per trasformarsi in brevissimo tempo in una mid tempo che si muove sulla chitarra di Aldrich e incrocia la voce di Castronovo con quella di Arnel Pineda (Journey). Visto che ho introdotto l’argomento spendo due parole sulla chitarra di Aldrich, elemento che forse mi sarei aspettato di trovare sulle prime più in evidenza in questi Revolution Saints, ma che invece sembra mantenersi più in disparte. Niente di più sbagliato, la chitarra è invece elemento principale che esce alla lunga su più ascolti e dona maggiore longevità a questo lavoro. Ben fatto!
A voler in parte smentire quanto sopra detto (chitarra non così in primo piano) arriva subito a questo punto Locked Out Of Paradise infarcita dello stile classico del biondo ex Whitesnake! Altro piccolo gioiello è il primo lento del lotto, Way To The Sun, toccato da un’istintiva e palpitante prova vocale di Castronovo e dai riconoscibilissimi cori a cura di Del Vecchio.
Dream On e Don’t Walk Away sembrano fatte per ricoprire due facce della stessa medaglia del melodic rock contemporaneo, classico esempio di pezzo trascinante ed inebriante il primo e classico lento trafiggicuori il secondo.
Splendida esecuzione per Here Forever, riarrangiamento in inglese di un pezzo di Francesco Renga (Nel nome del padre) riadattato in chiave più heavy e che trova nella voce di Deen nuova forma e vitalità. Uno dei migliori pezzi che i Revolution Saints riescono a consegnarci!
Strangers to This Town si aggiudica la palma del miglior pezzo al cardiopalma, crescendo di voce e chitarra, adrenalina sospesa nell’aria che esplode nel ritornello. Un piccolo gioiello di melodic rock confezionato alla vecchia maniera che potrebbe essere uscita dalla penna dei migliori Journey.
Ci avviciniamo in chiusura lasciando scorrere la buona Better World e la versione “Revolution Saints” del pezzo How To Mend A Broken Heart originarimante incisa dagli Eclipse per arrivare in chiusura con l’ultima precisa frecciata in pieno cuore con In The Name Of The Father (Fernando’s Song). Pezzo di una bellezza incredibile e forte di un testo profondo e toccante. Gioca tutto sul binomio voce e pianoforte in grado di accarezzare il dolore con la dolcezza della seta. Forse il pezzo più bello che ci lasciano i RS.
IN CONCLUSIONE
Bello! Che altro potrei dire di un album che vede riuniti tre personaggi del calibro di Deen Castronovo, Jack Blades e Doug Aldrich e mi lascia anche la piccola soddisfazione di sapere che dietro a questi ultimi prende posto un nome tutto italiano come quello di Alessandro Del Vecchio. Un album che a tratti potrebbe trovare facilmente spazio nella discografica dei Journey.
A voler ben vedere ci sarebbe stato un “osare” un po’ di più ampliando le radici dei Revolution Saints verso fonti più vicine ad Aldrich o Blades mentre invece aleggia sempre quel senso di “Journey” sulla quasi totalità dei pezzi.
Direi, peccato veniale, e con quella voce così vicina a Steve Perry che si ritrova Castronovo forse sarebbe stato quasi un delitto non realizzare un album che viaggia su binari quasi paralleli alla storia di questa grande band. Sicuramente i Revolution Saints rimangono una delle uscite più interessanti dell’anno e assolutamente un acquisto imperdibile per chi si professa amante del Melodic Rock di gran classe!
La speranza per il futuro, viste le premesse, è che questa band possa uscire dal livello di “progetto” trovando una sua realtà stabile e vitale che dia magari maggiore e più bilanciato spazio ai tre pesi massimi coinvolti.
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