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13 Novembre 2013 30 Commenti Alessio Minoia
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2013
etichetta: Avenue of Allies
Tracklist:
1. Reaping
2. If Not for the Devil
3. Bridges are Burning
4. Feel Like Making Love
5. Gambler
6. Hard to Say Goodbye
7. Made of Stone
8. Man Against the Wall
9. My World
10. Turn Back Time
11. Taught to Kill
12. Gimme All Your Love
Formazione:
Jens Berglid - batteria
Peter Steincke (aka Pete Steiner) - basso
Dagfinn Joensen - voce
Mikkel Henderson - tastiere
Torben Enevoldsen - chitarre
Ho voluto fortemente questo disco. Ho ferocemente lottato con unghie e denti affilati per decantare lodi, voli pindarici, arcobaleni fiammeggianti ed estasi mistiche di questo If Not For The Devil.
Perchè amo i Fate? Perchè ho un’affinità elettiva con la Danimarca? Perchè vengo profumatamente pagato? Nulla di tutto ciò!
Credo in realtà di avere ascoltato ad intermittenza il loro Cruisin’ for a Bruisin del lontano 1988 trovandolo plastificato, troppo zuccheroso e melodico, in una parola senza maroni.
A onor di cronaca devo anche ragguagliare gli ignari lettori che al tempo masticavo Queensryche per colazione, Voivod all’ ora di pranzo e Slayer come ninna nanna quindi il giudizio sul sopracitato pezzo di vinile (ebbene si!) era quantomeno viziato da un vizio di forma grande come il naso di Constant.
Che dire però: sarà perchè il fondatore del five piece, per inciso non più nella formazione, corrisponde al nome di Hank Sherman, storico chitarrista dei Mercyful Fate, sarà perchè (stupidamente) creato una realtà parallela nella quale Fate è sinonimo di musica di qualità pur non avendo mai approfondito la conoscenza, sarà perchè onestamente non ho tutte le rotelle a posto ma mi sono avvicinato al full-lenght in questione colmo di buone speranze e animato da incommensurabile benevolenza…….insomma fazioso al 100%.
Alla prova dei fatti cosa ho trovato nel settimo pargolo sfornato dai danesi?
Con calma, con calma ragazzi!
Partiamo a razzo sulle ali di Reaping, fast as a shark che sublima fisicità, un riffing affilato come la spada di un samurai, un paio di funambolici solo di matrice shredding e tanta acquolina in bocca per quello che ci aspetta da qui a venire.
Mai profezia fu più azzeccata visto che dietro l’angolo ci accoglie a braccia aperte lo zenit di questo platter, la title-track esplode dagli speaker, maestosa nel suo mid tempo, inarrestabile nel chorus, bilanciata nel giusto brand di tecnica e songwriting (break centrale per credere).
Echi lontani del Future World firmato Pretty Maids sono riaffiorati dal magma silente della mia mente per farmi visita e vi assicuro che la compagnia è stata molto gradita dal sottoscritto.
Dopo un uno-due di siffatta fattura era quasi fisiologico tornare su madre terra con un trittico di song easy livin’ (non ho detto banali) come Bridges Are Burning, Feeling Like Makin’ Love e Gambler che avrebbero impreziosito un quarto di secolo orsono la terza fatica dei danesi considerato il fatto che le keyboard di Mikke Henderson e la ricerca di un anthem ruffiano quanto basta rubano il proscenio all’hard rock sanguigno mostrato in precedenza (chi ha detto TNT?), stiamo non di meno parlando di AOR di gran classe.
Leggo Hard To Say Goodbye ed intuisco che sto per assaporare la prima power ballad che ahimè si rivela un derivato del Michael Schenker mid-eighties e poco altro risultando slegata, intermittente e soprattutto priva di un chorus di ampio respiro.
Da qui in poi, nuvole fosche si addensano sulla testa del quintetto: si spegna la vena compositiva che finisce per arrabattarsi con un trittico di pezzi dall’appeal ridotto ai minimi termini.
Made Of Stone, Man Against The Wall, My World se non sono filler poco ci manca tenuto conto della fiacchezza mostrata attraverso un songwriting mangiucchiato e rispedito all’ ascoltatore senza convinzione.
Cala il sipario sui nostri eroi? Per fortuna no, l’inaspettato colpo di coda arriva proprio sul finale.
Turn Back Time è magniloquente nel suo incedere, mi ha ricordato un estratto del sottovalutatissimo Sahara a firma House of Lords in virtù della straripante accoppiata keyboard/guitar lick.
Taught to kill è cattiva, ruvida, con un riff spigoloso figlio legittimo del Malmsteen di (mi si passi il termine) edmaniana memoria.
Risultato, una gran voglia di headbanging che si sprigiona nelle vene.
Gimme all your love, dulcis in fundo, è il ferrero rocher che ci fa terminare questo pasto a base di rock scandinavo con un retrogusto dolceamaro.
IN CONCLUSIONE
If Not For The Devil è sicuramente una buona rentree, soffre purtroppo di una altalenante verve che, in ogni caso, mi lascia alla finestra con spirito speranzoso e benevolo in attesa della prossima uscita, dell’ agognato masterpiece, a mio modesto parere, nelle loro corde.
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