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Recensione

85/100

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Place Called Rage – Place Called Rage – Recensione

06 Dicembre 2012 2 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Hard Rock
anno: 1995 / 2012 (Ristampa)
etichetta: Escape Music

Tracklist:

01) I Know Where You Been *
02) Place Called Rage
03) Trapped
04) Take It Lying Down *
05) Someday *
06)One Child
07) What These Eyes Have Seen *
08) Can’t Find My Way Home
09) Jenny Doesn’t Live Here Anymore *
10) Thunderbox
11) We’re Not Coming Home
12) Chained To Maniac *

*migliori tracce

Formazione:

Tommy Farese - Voce
Al Pitrelli - Chitarre
Danny Miranda - Basso
Chuck Bonfonte - Batteria
Mark Mangold - Tastiere

 

Anno 1995: ecco formarsi un supergruppo hard rock. Sembrerebbe una normalissima notizia, se non fosse per il fatto che il ciclone grunge era in piena forza e il lavoro dei ragazzi provenienti da Long Island (New York) rischiava di passare inosservato. E così fu, dato che i quattro rocker, i Place Called Rage, durarono solo un disco e poi tornarono ciascuno per la propria strada. La line-up era: Al Pitrelli (Savatage, Alice Cooper, Asia…) alla chitarra, Tommy Farese (Trans Siberian Orchestra) alla voce,  Danny Miranda (Blue Oyster Cult) al basso e Chuck Bonfonte (Joe Lynn Turner) alla batteria e vennero supportati anche dal tastierista Mark Mangold (Drive She Said) in diversi pezzi. L’album, come anticipato, finì presto nel dimenticatoio (tranne nel Sol Levante) e diciassette anni dopo la Escape Music decide di ristampare e rimasterizzare questa perla di hard rock/bluesy, regalandoci emozioni pure. Infatti il lavoro dei Place Called Rage è un hard rock di alta caratura dove accenni di anni settanta e ottanta riaccenderanno gli animi dei rocker più nostalgici.

Il suono non è nulla di nuovo o innovativo, ma riesce a lasciare il segno nella maggior parte delle tracce; a partire dall’opener I Know Where You Been che col suo riff iniziale sporco, il piano in sottofondo e la voce roca di Farese ci porta al più classico sound ottantiano e infiamma subito gli animi. Place Called Rage e Trapped virano su un suono più cupo, con influenze funky e con un tappeto di hammond in sottofondo. Take It Lying Down è una power ballad dove troviamo qualcosa dei Black Crowes di inizio anni novanta, un vero gioiello di canzone… Someday è la classica song mid-tempo con tanto di chitarre acustiche e tastiere che arrichiscono la canzone mentre One Child ritorna su terreni hard rock con la chitarra ruvida e cattiva che macina riff per tutta la song. Ed ora il capolavoro: What These Eyes Have Seen. Organo iniziale con voce roca e chitarra che arpeggia, ancora un assolo da brividi e un’arrangiamento che riporta alla mente i primi Deep Purple. Stupenda. Can’t Find My Way Home è una canzone allegra, col basso pulsante in primo piano, un rock leggero che “spezza” l’album. Jenny Doesn’t Live Here Anymore è una ballad più classica, con voce e pianoforte che sfociano in un ritornello semplice ma di grande effetto. Thunderbox parla l’hard rock più duro, con ancora Al Pitrelli sugli scudi,un gran giro di basso e un refrain con tanto di cori, molto eightes.Were Not Coming Home ha il tipico groove del rock anni novanta: voce effettata e chitarra pulita che accompagna. Si chiude alla grande con Chained To A Maniac, un altro piccolo capolavoro che ricorda i Lynyrd Skynyrd col suo rock con influenze southern e il pianoforte in primo piano.

IN CONCLUSIONE:

Un gran disco. Basterebbero queste tre parole per capire il valore di questo album e di questi quattro “ragazzacci” New Yorkesi. Ok, nulla di nuovo, ma per chi ama l’hard rock sporco, ruvido e grezzo consiglio caldamente l’acquisto!

© 2012 – 2018, Lorenzo Pietra. All rights reserved.

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