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Recensione

95/100

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Shy – Shy – Recensione

04 Ottobre 2011 5 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Escape Music

Tracklist:

01. Land Of A Thousand Lies *
02. So Many Tears *
03. Ran Out Of Time *
04. Breathe *
05. Blood On The Line
06. Pray
07. Only For The Night *
08. Live For Me
09. Over You
10. Sanctuary
11. Save Me *
12. Union Of Souls

* Migliori Canzoni

Formazione:

Lee Small – Voce
Steve Harris – Chitarre
Roy Davis – Basso
Joe Basketts – Tastiere
Bob Richards – Batteria

 

Un disco nato dal silenzio. Nessun proclamo in pompa magna ma un solo e semplice annuncio che dichiarava l’uscita di questo album per il 7 ottobre 2011 sotto Escape Music. Nessun titolo a effetto, ma un solo e semplice Shy, shy come Shy è il nome di questa storica band inglese, apparsa sulle scene nei primi anni ’80 proponendo un nuovo tipo di hard rock e AOR (vedi gli album fondamentali Once bitten Twice Shy e Excess All Areas). Neppure l’artwork vuole essere appariscente, ma è nero come la pece con il logo della band che si vede quasi male.. Eppure i motivi per proclamare c’erano, con la nuova formazione, con il ritorno in studio dopo 6 anni.. Ma niente, l’urlo l’abbiamo fatto d’istinto e sulla fiducia solo noi fans, quasi che gli Shy (come il loro nome comanda) sono stati timidi, essenziali, e abbiano pensato più alla sostanza e ai fatti che alle parole.

Della formazione originaria formata da Tony Mills (voce), Steve Harris (chitarre), Paddy McKenna (tastiere), Mark Badrick (basso) e Alan Kelly (batteria) resta il solo Steve Harris, il quale da buon leader ha riconfermato Roy Davis (basso), Joe Basketts (tastiere) e Bob Richards (batteria) e ingaggiato un nuovo cantante, Lee Small, singer dalle indubbie qualità. Ma bando alla ciance, anche noi come gli Shy andiamo ai fatti e pigiamo play sul nostro lettore. Che lo show abbia inizio..

LE CANZONI

Breve intro in ingresso (questa si efficace nel creare tensione e attesa) e parte Land Of A Thousand Lies, primo straordinario (occhio agli aggettivi da ora in avanti) brano di questo disco. L’ingresso vocale di Lee Small scarica tutta la tensione accumulata sprigionando un energia incredibile, che esplode dirompente sul ritornello dal cantato molto più che piacevole e ispirato. La chitarra di Harris sembra congelata nel tempo, e tra riff possenti e assoli fulminei collabora in prima linea sulla riuscita di questo ottimo brano d’apertura.
Altra breve intro di tastiere, mano a mano accompagnata da batteria e strumenti a corde, e So Many Tears riparte fulminea come la precedente, tra arrangiamenti curatissimi e suoni cristallini come questo genere comanda. Mano a mano che il ritmo incalza, la vocalità si adegua e regala linee variegate, tra acuti e vibrati di grande, grandissima tecnica. E che dire ancora della chitarra? Pazzesca, specie nel suo oltre minuto solista nella seconda metà del pezzo, da strapparsi la pelle di dosso.
Grandi tastiere aprono Ran Out Of Time, un brano dotato di grandissima musicalità e melodie dirompenti, accompagnate  da un lavoro di Joe Basketts ai tasti davvero di altri tempi. A rendere ai limiti della perfezione anche questo brano ancora una volta è la voce di Small, calda e sensuale come mai prima d’ora. E vogliamo parlare della finta chiusura che esplode in un rullo di batteria e in un nuovo ritornello? Wow!
Altra super introduzione per Breathe, brano che parte un po’ più rilassato dei precedenti e ai limiti del mid-tempo, ed è perciò guidato per ampi tratti ancora una volta dalla voce di Small, che sfoggia ancora tassi tecnici da fuoriclasse accompagnati da un’abilità nel trasmettere le emozioni e le sensazioni legate al testo unica. Straordinaria ancora una volta la chitarra (l’assolo melodico è da 10) e piacievolissime le tastiere, abilissime nel creare il tappeto sonoro d’accompagnamento. Forse è il brano più entusiasmante dell’intero lotto, da sentire e risentire ancora ed ancora.
Blood On The Line riporta in parte il tempo del disco sui livelli delle prime 3 tracce, anche se le prime battute di ogni strofa partono sempre un po’ sommesse per poi esplodere mano a mano che il refrain si avvicina. I riff sono taglienti, la batteria assieme al basso tira su un muro sonoro non da poco e le tastiere con la voce chiudono il cerchio, regalando l’ennesimo brano over the top di questo disco.
E fuggiamo via sempre a 100 all’ora con Pray, brano guidato da tastiere in primissimo piano e leader assolute delle melodie, anche sullo splendido ritornello, tra i più immediati e ispirati del disco. E grazie a un songwriting illuminato e splendidamente genuino, anche questa Pray corre via lasciando brividi sulla pelle e cicatrici nel cuore.
Secondo rallentamento, Only For The Night è un’ottima power ballad che riscalda piacevolmente i cuori e lascia sognare, a occhi chiusi, momenti pacevoli e nient’altro, liberando la mente da fatiche e soggezioni della frenetica vita di oggi. Il ritornello, ancora una volta, è l’apice del componimento, con la sua straordianria coralità, freschezza e vocalità di Lee Small, sempre di altissimo livello.
Un nuovo esordio sinfonico apre Live For Me, altro brano 100% Shy e di indubbia energia che non cambia di una virgola quanto espresso fino ad ora e non cala di un grado il tiro di questo disco, con un’altra prova di vocalità assoluta del nuovo cantante, atomico sia sulle strofe che sul ritornello. Molto bello anche l’assolo. Parimenti, la nona canzone Over You, riconferma anch’essa queste qualità, avvalendosi di un sound di grande freschezza, moderno nonostante i continui rimandi al passato. Di certo è un pezzo divertente, di immediata musicalità e piacevole energia.
Il brano più lungo del disco è Sanctuary, con i suoi oltre 7 minuti di durata e il piacevole esordio con sfondo di voci e chitarra acustica, poi sormontato dalla chitarra elettrica solista e blueseggiante di Harris. Dopo questa intorduzione il brano esplode ancora una volta di energia e procede dominato dal solito gusto sinfonico che contraddistingue questa realtà musicale. Seppur a risaltare a primo impatto sia sempre la voce, viene dato ancora una volta grande sfogo agli strumenti, da elogio assoluto per tecnica e dinamismo.
Parte senza fronzoli e carica di tastiere la penultima canzone Save Me, per poi trasformarsi in una bella ballad dagli arrangiamenti curatissimi e dai suoni diamantini. Nota di merito al testo semplice ma per nulla banale, che bene sa coronorare le emozioni espresse in musica, e ancora una volta all’assolo di chitarra, tecnico, prima lento e melodico e poi veloce e tecnico senza mai snaturarsi. Quando Harris mette la settima non lo ferma nessuno.
Chiude con un intro (e qua e la spunti) ai limiti dell’hi-tech AOR Union Of Souls, pezzo dalla gittata sempre molto alta, specie sul refrain molto curato. Per l’ultima volta Lee Small ha la possibilità di mostrare le sue doti e lo fa senza paura reverenziale alcuna, battendo senza dubbio in tecnica il buon Tony Mills, che però rimane (giustamente) intoccabile per la storia di questa band inglese, qui davvero al 100% recuperata.

IN CONCLUSIONE

Questo omonimo degli Shy è semplicemente l’album hard rock melodico dell’anno. Non c’è se e non c’è ma. Per mio personale gusto, solo l’esordio dei Lionville gli può tenere testa, ma di suoni e in parte genere differente parliamo. Shy è un disco raffinato, stupendamente prodotto, con un sound spettacolare e nitido come pochi. A tratti riesce a ricordare i fasti passati della band, sprigionando nota dopo nota quel gusto sinfonico che la band ha sempre avuto e che ora ha finalmente ritrovato coronamento, ma sa anche aggiungere qualcosa di inedito e un gustoso profumo di moderno. Il songrwriting è eccezionale, i pezzi sono tutti assoluti e non c’è un filler. Era da tempo che il livello generale dei pezzi di un album non sapeva tenersi sempre così alto. Harris è un mostro del genere e della chitarra, e se è ispirato come in questo caso ha da davvero pochi eguali. Il resto della band si conferma di altissimo livello, specie il tastierista Joe Basketts, ma è il neo-ingresso Lee Small a dare la zampata definitiva e totale verso la rinascita di questa realtà musicale, attraverso una vocalità maestosa in ogni pezzo e situazione. Devo gridare al miracolo? Si.  Bentornati SHY.

© 2011 – 2018, Iacopo Mezzano. All rights reserved.

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