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Recensione

80/100

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Hurtsmile – Hurtsmile – Recensione

16 Febbraio 2011 Comment Andrea Vizzari

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

1. Just War Theory *
2. Stillborn
3. Love Thy Neighbor
4. Kaffur (Infidel) *
5. Painter Paint *
6. Tolerance Song
7. Set Me Free *
8. Jesus Would You Meet Me
9. Slave *
10. Beyond The Garden/ Kicking Against The Goads
11. Just War Reprise
12. The Murder Of Daniel Faulkner (4699) *

* migliori canzoni

Formazione:

Gary Cherone – Voce
Mark Cherone – Chitarre
Joe Pessia – Basso, Mandolino
Dana Spellman – Batteria & Percussioni

 

Nella musica ci vuole quel pizzico di fortuna. Diversi artisti solo con la loro bravura e la forza del duro lavoro sono riusciti a diventare qualcuno, ma nella maggior parte dei casi senza la dea bendata molti sarebbero ancora dei perfetti “sconosciuti”. Ma la fortuna in sé non basta comunque: mi si palesano subito in mente diversi episodi a conferma di questa affermazione vedi Blaze Bayley negli Iron Maiden o Tim “Ripper” Owen nei Judas Priest. Giovani cantanti dal talento innato chiamati a sostituire dei singer storici e importanti in band leggendarie. Purtroppo non è servito a molto, arrivati al momento sbagliato gli Iron e i Priest con questi “sostituti” diedero alla luce gli album meno belli della loro carriera, con tanta rabbia dei fans più incalliti e fedeli pronti a far ricadere la colpa ai nuovi innesti. Ma col senno di poi si capii che era più un songwriting deficitario e delle scelte di sound discutibili a penalizzare quei lavori, piuttosto che l’arrivo dei nuovi cantanti. Questo è quanto successo anche a Gary Cherone. Cantante e compositore negli Extreme, band hard rock che arrivò al successo commerciale nei primi anni ’90 grazie alla famosa ballad “More Than Words” (comunque lontana dallo stile funk-hard rock del gruppo), il buon Gary finì addirittura a partecipare con la sua band al Freddie Mercury Tribute Concert organizzato dai rimanenti Queen in onore al leggendario singer appena scomparso. Un onore riservato di certo ai grandi artisti. Poi la svolta: nel 1996 i Van Halen, orfani dall’abbandono di Sammy Hagar, scelsero proprio in Gary Cherone il loro nuovo vocalist. Il singer così si trovò a fare il salto di qualità andando in una delle rock band più famose della storia del rock, ma, proprio come Bayley/Owen citati prima, anche Gary non fu graziato dalla fortuna, così, dopo un deludente VHIII, il gruppo si sciolse e Gary dopo vari anni di pausa nel 2008 riformò i suoi Extreme ancora attivi fino a oggi. Gli Hurtsmile invece sono un side-project dello stesso cantante affiancato dal fratello Mark Cherone alle chitarre, Joe Pessia al basso e Dana Spellman alla batteria e percussioni. Il termine Hurtsmile, spiega lo stesso Cherone, è una parola che lui e il fratello Mark usavano molto da piccoli, che sta a indicare quel tipo di sorriso (“smile”) finto che i bambini mostrano quando si fanno male (“hurt”) e non vogliono piangere davanti ad altri bambini (una sorta di facciata per dimostrare di non essersi fatti nulla di che). Il disco mostra tutto l’estro del cantante americano in un mix estremo di tanti generi diversi per un lavoro molto interessante. Tuffiamoci allora insieme nelle canzoni che compongono questo “Hurtsmile”..

LE CANZONI

Just War Theory apre le danze con le sue strofe cosi sfacciatamente ironiche e un ritornello potente e diretto. I fan degli Extreme si troveranno già a proprio agio: le solite armonie vocali con cori di supporto, un granitico guitar work che dispensa riff a go go e una solida sezione ritmica. Lo stesso vale per la successiva Stillborn che non fa altro che stupirci per il lavoro alle chitarre di Mark Cherone, chitarrista dotato di un senso del ritmo e di una tecnica sicuramente da invidiare. Un buon hard rock che strizza l’occhio al metal nel ritornello e al grunge nelle strofe (linea vocale principale e cori alla Alice In Chains). Veniamo subito colpiti dall’intro a cappella di Love Thy Neighbour, tanto caro ai vecchi Extreme, ma è la quiete prima della tempesta: arriva il riff di Mark Cherone a far partire veramente la canzone, una discreta midtempo con un interessante ritornello dominato dai cori con l’aggiunta di un efficace assolo. Kaffur (Infidel) vede unico protagonista proprio il fratello chitarrista di Gary: un lavoro enorme alla sei corde tra riff e passaggi da rimanere veramente a bocca aperta in una canzone dalle leggere tinte prog. Perfino l’assolo lascia stupiti con un tapping sfrenato e perfetto. Non dovrebbe soprendere, visto che Gary è sempre stato abituato ad avere al proprio fianco chitarristi eccellenti (Nuno Bettencourt, Eddie Van Halen, Brian May, Paul Gilbert), e il fratello rientra sicuramente in questa categoria. Painter Paint ci viene introdotta da un arpeggio acustico delicato e va man mano plasmandosi verso lo stile dei Queen più romantici e soffusi molto cari agli Extreme e allo stesso Gary (alla Love Of My Life o Is This The World We Created per intenderci…), compresi i cori appena sussurrati a metà canzone. Splendido l’arrangiamento acustico per 2 minuti e 47 secondi di pura poesia dove la voce del cantante americano si fonde perfettamente con la musica. I ritmi tornano pesanti ed è il tempo di Tolerance Song. Un arrabbiatissimo Gary fa da introduzione all’ormai solito riff per una song in mezzo tra i Velvet Revolver (riff-ritmiche, voce effettata) e i Queen (diversi cori). Canzone comunque trascurabile. Set Me Free contrappone la sezione ritmica in primo piano e una voce calma nelle strofe alla chitarra tagliente e gli urli di Cherone nel ritornello che vede ripetuto spesso il titolo della canzone con richiami agli Audioslave perfino nell’attacco effettato dell’assolo (qualcuno ha detto Tom Morello?), ancora una volta mai scontato e molto efficace. L’acustica e scanzonata Jesus Would You Meet Me con la sua aria briosa e divertente spezza ancora i ritmi dell’album, con i suoi tratti folk molto gradevoli. E’ invece il basso pulsante di Joe Pessia a guidarci per tutta la durata di Slave, in un crescendo terminante nel ritornello molto aggressivo con la potente voce di Gary in primo piano. Menzione d’onore per il break melodico nel mezzo della canzone totalmente fuori dallo schema musicale che la stessa song aveva proposto fino a quel momento. Uno dei momenti migliori di tutto il disco, ascoltare per credere!! Beyond The Garden – Kicking Against The Goads proprio come Painter Paint fa calare i toni rabbiosi e duri scaturiti dalla precedente traccia per farci rilassare con le sue chitarre acustiche e un Gary Cherone molto ispirato generoso nel regalarci una performance a mio parere fenomenale. Nonostante gli anni il cantante è riuscito a mantenere il suo fedele timbro senza perderne in potenza o espressione, sia nelle parti urlate “heavy” che nelle parti lente e sussurrate. La canzone comunque verso la fine sale di potenza con voci e strumenti in un crescendo sempre più intenso che fa da preludio all’ennesima sorpresa sonora che i fratelli ci regalano. In tanti rimarranno sicuramente increduli alle proprie orecchie nel sentire Just War Reprise, così come successo al sottoscritto. Va bene che l’estro di Gary è capace di tutto, ma quanti si sarebbero aspettati addirittura una canzone reggae?? Ecco cos’è Just War Reprise, una reggae “elettrico” con l’istrionico cantante a farla da padrone. Quasi divertente l’assolo di Mark effettato in questo sorprendente contesto musicale . La canzone cambia veste negli ultimi minuti, abbandonato il reggae, si ripresenta la chitarra acustica e anche il buon Gary cambia impostazione vocale quasi a prepararci per l’ultima traccia di questo album: The Murder Of Daniel Faulkner (4699). Il camaleontico cantante in questo epilogo prende le vesti del “Bob Dylan” del nuovo millennio, raccontandoci chitarra alla mano una storia vera, vissuta, tragica: l’omicidio dell’agente di polizia Daniel Faulkner, ucciso brutalmente alle spalle l’9 Dicembre 1981 da vari colpi di pistola mentre stava svolgendo il suo dovere per le strade di Philadelphia. Per noi italiani (ma anche europei) l’accaduto non sembra toccarci più di tanto, in molti magari non ne avranno mai sentito parlare ma in America sicuramente è stato un avvenimento importante che ha sconvolto molto l’opinione pubblica di quel tempo. Toccante il video tratto proprio da questa canzone (visibile a fine recensione) che merita sicuramente di essere visto. Un ottima chiusura per un disco che dire strano è forse riduttivo.

IN CONCLUSIONE

Senza girarci troppo intorno, i fratelli Cherone hanno confezionato un ottimo lavoro attingendo a pieno dalle band/artisti che più hanno influenzato la carriera musicale di Gary (Extreme in primis ma anche Queen ecc…). Un acquisto obbligato per tutti i fan del cantante americano e per tutti i fan degli Extreme, ma soprattutto a tutte quelle persone che amano l’hard rock e che hanno una mente musicale più aperta. Sezione ritmica onnipresente e molto solida, un lavoro alla chitarra solista MOSTRUOSO da parte di Mark Cherone: un chitarrista che vorrei sentire più spesso e che meriterebbe tanto successo. Grande feeling e padronanza dello strumento, a suo agio sia nella canzone veloce hard rock che nell’intima ballad acustica. Riguardo Gary invece questo disco non fa che confermare quanto già pensavo su di lui: un ottimo cantante con un timbro che a me personalmente piace molto; eclettico e camaleontico come pochi, capace di passare velocemente da una sonorità all’altra risultando sempre perfetto per ogni occasione. Anche in potenza ed espressione sembra non averne risentito minimamente durante tutti questi anni, dispensando urli per tutta la durata del disco ed emozionando tantissimo nelle canzoni più intime e lente. Per l’ascoltatore medio invece, consiglio di ascoltare il disco prima di acquistarlo: questi continui passaggi da hard rock al funk, all’acustico cantautoriale, addirittura il reggae potrebbero far storcere il naso a chi è abituato ad ascoltare lavori più “lineari” e “quadrati”, ed ecco anche spiegato il perchè della mia valutazione. Se questo progetto continuerà nel tempo sono sicuro che i due fratelli riusciranno nell’impresa di realizzare un album veramente spettacolare, ma per adesso godiamoci questi Hurtsmile e questo loro debutto, ne vale sicuramente la pena.

© 2011 – 2018, Andrea Vizzari. All rights reserved.

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